Spartiacque che fonda un archetipo e punto di non ritorno, di quelli che all'interno di un sottogenere - o di una intera tipologia del videogioco - in altri tempi ne sarebbero usciti a getto costante mentre oggi è un lusso trovarne 1-2 ogni sette o otto anni. La profondità di scrittura dei personaggi, con le loro caratterizzazioni che si sviluppano in modo del tutto coerente, senza una minima sbavatura, a volte esprimendosi con una singola linea di dialogo o un'espressione del volto. Non solo nostri compagni del gruppo ma amici.. perchè quello diventano quando si finisce con l'affezionarcisi. E poi gli altri personaggi non giocanti con i quali scambiamo numerose interazioni; sono dozzine e ognuno ha una sua personalità o caratteristica distintiva. I tiefling li ho salvati tutti perchè a perderne anche solo uno non me lo sarei perdonato. Il senso del viaggio con la sua epica e assoluta credibilità nella gestione delle conseguenze, dove anche quelle apparentemente più improbabili o contrastanti trovano sempre una dimensione e collocazione naturale ai loro pregressi. Ho amato ogni istante di Baldur's Gate 3 e di difetti non ne saprei proprio trovarne. Neppure in alcuni scontri che mi sono sembrati parecchio sbilanciati, perchè sono sicuro che se li provassi con altri personaggi o usando altre combinazioni di attacco.. anche quelli si rivelerebbero strepitosi. O l'avvio del terzo atto che sembra un'involuzione e invece nel suo essere diverso dagli altri trova l'eccezionalità del proporre qualcosa di costantemente nuovo, senza mai ripetersi (a me ha ha ricordato alcuni librigame ai quali sono incredibilmente affezionato come "La città proibita" di Oberon o "La città dei misteri" di Sortilegio; atmosfere nelle quali mi sono pienamente immerso con puro gaudio). Ci sono tanti momenti, commoventi o ilari, tensivi o quieti, che mi hanno fatto capire quanto ormai fossi personalmente coinvolto nelle vicende di questi personaggi. E ho adorato come nella chiusura tutto vada al suo posto, senza lasciare nulla in sospeso. E' la gratificazione più grande che questo capolavoro avrebbe potuto darmi.

Devo dire che non mi ha particolarmente sconfinferato la scelta di porre drastica enfasi sulle sessioni di corsa e arrampicata su parti/piattaforme; una routine alla lunga sfiancante. Inoltre le fasi di libera esplorazione prevedono pochissimi enigmi e le parti più spettacolari - ce ne sono giusto un paio - si risolvono in una serie di salti scriptati con quell'effetto di finzione che riempie gli occhi ma non lascia nulla. Cose già viste e straviste, messe in punti nei quali te le aspetti. E quindi si dimenticano subito. Forse la mancanza più grande è proprio quella di non riuscire a sorprendere, mai, quando quantomeno il primo lo ricordo più centrato nella rappresentazione sia dei mondi che di storia e personaggi. Qui ci sono solo due pianeti in croce e altre tre o quattro zone limitate però a poche sequenze ultralineari e - anche se andando avanti nel tempo si aprono nuove aree - questa mancanza di varietà va a pesare come un macigno sulla godibilità e aspettativa (inesorabilmente tradita) nei confronti di un gioco su licenza Star Wars. Voglio dire.. c'è una intera galassia da esplorare e finiamo SEMPRE sul solito pianeta desertico e su quello boscoso? E' così anche nei film però, dico io.. inventatevi qualcosa di originale! Tra l'altro, verso la fine parte un lungo capitolo assolutamente anticlimatico nel modo in cui spezza la narrazione e - quel che è peggio - la boss fight che lo conclude dovrebbe essere la più epica del gioco nella sua interezza e invece è semplicemente orrenda; fasi gestite malissimo con terribili pattern di attacco. Resta comunque un gioco ampiamente potabile, un more of the same che poco aggiunge e nulla toglie.

Finito nei termini in cui si potrebbe considerare finito un sandbox totale, considerando che la vicenda principale (riportare il gatto a casa sua, in cima a un edificio) è un mero pretesto per svolgere decine di piccole missioni all'interno di un classico quartierino giapponese. Lo si potrebbe prendere come una sorta di b-side di Stray, se non fosse che non c'è nulla di quella cura produttiva. I requisiti di completamento poggiano interamente su richieste molto basiche e dubito che il viaggio valga il prezzo in termini di tempo, anche se soddisfare la curiosità di essere un gatto che si comporta come tale, ammettiamolo.. potrebbe essere inizialmente simpatico.

Versione breve: gioco sicuramente fighissimo, graficamente importante e pieno di intuizioni divertenti, stilose, spettacolari. Però se dovessi dire quale mi ha colpito in misura maggiore tra Alan Wake del 2010 o Alan Wake II del 2023, sceglierei il primo senza dubbio. E approfondisco: la scelta di farlo diventare un gioco investigativo a tutti gli effetti non è sempre premiante; ridurre la frequenza degli incontri e delle sparatorie sarebbe stato ok se questo avesse comportato anche uno stravolgimento del sistema offensivo e difensivo. Invece togli l'oscurità con la torcia e scarichi mezzo caricatore, ogni tanto schivi il colpo, diventa presto la solita routine. Avrei paradossalmente ritenuto più calzante un sistema simile a quello di Hellblade, certo non il massimo della vita ma quantomeno importante nella resa di ogni scontro, nel sentire ogni singolo colpo inferto o subito. Oppure il sistema di Rise che ugualmente è un modo semplicistico di intendere il gameplay ma sarebbe stato di gran lunga preferibile alla pochezza dei combattimenti di Alan Wake II. Pazienza, mettiamo da parte senza dargli eccessivo peso perchè il gioco vuole focalizzarsi su altro e allora brillerà sotto quell'aspetto.. e invece no! Il tabellone dei casi, non funziona. L'idea è accattivante sulla carta, fare ordine mentale collegando tutti gli indizi poteva essere un gioco nel gioco ma alla fine si riduce nel mettere le tessere al posto giusto senza subire nessuna penalità, un trial & error un po' ridicolo, oltre ad essere una pratica ingombrante perchè troppo presente. Semplicemente: non è divertente. Come le profilazioni, manca il fascino della scoperta perchè arriviamo a conclusioni automatiche senza che sussistano delle informazioni pregresse a loro supporto, è come se Saga disponesse di poteri extrasensoriali e questo priva la sua figura di ogni carisma deduttivo. E ok, è una caratteristica che nel gioco ha il proprio motivo d'essere ma più che Sherlock Holmes ci si ritrova nei panni di un X-Men telepatico, è strano.. e non va bene. Dove però il gioco eccelle - come ha fatto il primo e in generale le altre uscite Remedy - è nel ritornare la sensazione tangibile di muoversi all'interno di un mondo attinente al vero pur con le sue regole. Dagli scorci cittadini ai boschetti, niente è lasciato al caso, c'è una cura artigianale davvero impressionante; si respira l'aria stagnante e si percepisce l'umidità mentre ci entra nelle ossa. Dal punto di vista dell'art-design e della componente estetica in generale, tanto di cappello. La storia poi è coinvolgente e appassionante, un altro profluvio di metanarrativa. Questa volta più che al testo scritto, comunque ben presente, hanno guardato all'aspetto figurativo di cinema e serialità televisiva con un effetto molto spettacolare nel modo in cui la realtà è plasmata attraverso la creatività, dando forma e corpo all'irreale. Lo ritengo un concetto affascinante e da questo punto vista il gioco ottiene un centro pieno. Per il resto avrei voluto una corsa più veloce perchè c'è tanto backtracking, le ambientazioni non sono molte anzi sono proprio pochine, manca quel senso di ariosità del primo, di compattezza e forse anche organicità nel definire Bright Falls e le zone limitrofe. Però mi sento di chiudere un occhio su molti degli aspetti negativi perchè diventano a un mezzo attraverso il quale esprimere altro. Nota a margine per la parte musical: bella da vedere come tutto il resto ma, siamo sempre lì.. resta una serie di piccole arene con ondate nemiche e mi sarebbe piaciuto se la musica si integrasse davvero all'azione senza limitarsi a farne un contrappunto da videoclip sullo sfondo. Al di là della sontuosità visiva e sensoriale mi è mancato qualcosa per il quale sorprendermi sul serio. Anche le parti in cui si modifica la realtà diventano subito ben poca cosa perchè metti la parola giusta nel posto giusto e avanti così, con la sensazione di risolvere un enigma ma non di impattare davvero su quel mondo. Meh anche il finale ancora una volta aperto (anzi, spalancato!), dopo tredici anni era forse il caso di suggellare il gran ritorno con una conclusione definitiva. To be continued? Speriamo.

Ammetto di essermi avvicinato a Outer Wilds con un notevole hype pompato nelle sinapsi da commenti non meno che entusiastici. Eppure.. sarà lo stile grafico che non valorizza l'effetto wow spesso ricercato, oppure la ridondante formula del loop, o ancora l'iniziale dispersività che si traduce in leggibilità solo nelle fasi ampiamente avanzate. Insomma: non ha fatto click. Ho apprezzato alcuni elementi tra il contemplativo di un cosmo indifferente e l'ineluttabilità degli eventi catastrofici ma è un equilibrio precario sul quale poggiano diverse altre caratteristiche che al contrario mi sono sembrate davvero poco interessanti. A cominciare dalla lore e - per estensione - dalla cartoonesca rappresentazione di queste civiltà aliene. Forse, fatto con altri mezzi e altre idee...

Alti e bassi, gli immancabili momenti riusciti diluiti nell'acqua piovana del costante senso di déjà vu, già fatto e già visto.. però meglio. Clementine relegata a comparsa è una scelta coraggiosa che però non ripaga con un'adeguata storyline del nuovo protagonista (loffio) e tantomeno con l'aggiunta della solita carne da cannone incapacitata ad arrivare ai titoli di coda (tutti generalmente insulsi). I rapporti umani - che si vorrebbero centrale motore della vicenda - diventano così una serie di pretesti volti al sensazionalistico colpo ad effetto: una morta improvvisa, un tradimento inatteso, un incontro insperato. Col risultato di sortire l'effetto opposto e sfociare nella trita prevedibilità.

Credo di averlo apprezzato in misura maggiore oggi, rispetto a quando lo giocai venticinque anni fa. Certo, andando avanti emergono tutte le cose che non funzionavano allora e di sicuro non sono migliorate nel tempo: i giganteschi problemi di gameplay causati dalla semplificazione delle junction, gli scontri puntualmente risolti tramite evocazioni/limit spammate all'infinito, la pessima gestione del party e una scrittura fin troppo lineare oltre che scontata e colma di situazioni irrisolte o malamente accennate. E' quantomai evidente come fosse stato un Final Fantasy vittima del suo gigantismo produttivo: sequenze tutt'ora altamente spettacolari e forti della capacità di meravigliare con l'integrazione tra filmati e parti giocate, a discapito della continuità narrativa e della gestione di personaggi e punti snodali meno che sperficiali o raffazzonati (penso alla questione delle streghe e a tutta la storyline di Laguna). C'è però anche un rapporto di coppia fra i più potenti di sempre e il finale resta un grande esempio di chiusura emozionante e appagante. E le musiche.. quando partono Don't Be Afraid, Liberi Fatali o il tema del Balamb Garden, cosa gli si può dire? E' come tornare a indossare un paio di comode pantofole che si credevano perdute nel tempo, ti senti subito a casa. Non un grande Final Fantasy ma un Final Fantasy grande e, tutto sommato, lamentarsene oggi equivale a sputare in un piatto nel quale tornerei a mangiare molto volentieri.

E' tutto quello che si sarebbe potuto chiedere a un remake moderno ma rispettoso nello svecchiare senza snaturare l'identità e il carisma dell'originale. L'immutabile bellezza di quel game/level design resa ulteriormente affascinante dalla praticità e immediatezza del contemporaneo sistema di controllo, oltre che da un restyling grafico in grande spolvero.

Inizio con il botto che delizia e diverte anche grazie a un apparato tecnico che sa il fatto suo. Poi subentra la ripetitività dell'azione reiterata e fine a se stessa; un ambiente d'uso incapace di raccontarsi senza rasentare il circo sandbox fatto di arene con ondate nemiche + boss fight inconsistenti, connubio ripetuto allo sfinimento. Senza considerare che la ricostruzione cittadina sarà anche gradevole ma vogliamo mettere con l'atmosfera da villaggio turistico del predecessore? Dove sarebbe l'island in questo Dead Island? Comunque non male.

Classica follia made in Grasshopper, Suda51 si fa volere sempre bene ed è bello che ancora esistano produzioni di questo tipo. Umorismo nipponico che unisce l'alto al basso, le digressioni filosofiche sul cinema di Miike alle più assurde trovate da exploitation action in una sarabanda di crescendo metacontestuale. Quasi un reperto che sotto il profilo di storia e caratterizzazioni sembra uscito dall'epoca d'oro di PS2. Tanto bellume non riesce però a mascherare la pochezza del gameplay collocato in un open world mai così spoglio e privo di significato. E, alla lunga, sopraggiungono barlumi di noia scongiuarata - evitando il tracollo - solo dall'ottima varietà di situazioni che precedono gli scontri con i boss.

Puzzle game basico che tenta la ricercatezza stilistica senza riuscire a trovare una propria quadratura, a meno che non si voglia definire tale il semplicismo su misura del mercato mobile. Carini gli scontri con i boss canterini ma sono pochi, brevi istanti soffocati dall'insostenibile idiozia dei personaggi (non aiutano le insopportabili voci, su tutte quella del molesto uccellino che ci accompagna in lungo e in largo).

Una constatazione: mi piacerebbe vedere molte più uscite come Evil West, quella onesta fascia produttiva di medio livello che una volta avrebbe riempito i cestoni nei negozi di videogiochi, alimentando l'offerta nei confronti di tipologie altrimenti relegate a pochi AAA. Detto questo, per mio personale gradimento meno arene con ondate nemiche e più libera esplorazione pur ricondotta alla linearità degli scenari, ok l'enfasi sugli scontri ma non a discapito dell'attenzione nella costruzione degli enigmi, storia raccontata con meno filmati e maggiori interazioni in-game. A parte tutte le criticità, fa il suo sapendo cosa vuole essere. Tanto basta e va più che bene così.

Si lascia giocare come tutti gli altri Supermassive, pur senza particolari guizzi narrativi o sviluppi imprevedibili. Il limite è la furberia con la quale il gioco ci pilota verso determinate scelte e situazioni che mettono in serio pericolo la vita dei personaggi (a meno che non si consulti una guida, s'intende); questo potrebbe potenzialmente favorire la rigiocabilità se non fosse che si è del tutto disincentivati dal farlo.. a cosa serve la selezione dei capitoli se disponiamo di un unico salvataggio che va a sovrascrivere i progressi acquisiti e non tiene nemmeno traccia dei collezionabili già raccolti? Senza tra l'altro fornire la possibilità di skippare i lunghi e numerosi filmati già visti. E' un po' come rileggere da capo un librogame rifacendo le stesse azioni, salvo poi modificare quei due o tre passaggi a metà. E poi rileggerlo ancora una volta per cambiarne solo uno nel finale.

Beh, beh.. Diablo non è mai stato una mia fissa ma le sue campagne narrative le gioco sempre volentieri e quella del quarto non ha fatto eccezione. Non che sia una storia particolarmente interessante ma è tutto ciò che mi aspetterei da Diablo e in questo non fa niente di sbagliato. Classico gameplay agile e alla portata di chiunque, semplicistico ma ugualmente divertente e mai noioso.

Un altro di quelli che non stancano mai, anche se alla lunga - dopo avere preso dimestichezza con i vari livelli - diventa tutto un po' troppo semplice. Storia apparentemente imperscrutabile ma con un suo significato che si fa apprezzare (nulla di sconvolgente, btw).