2009

I just want to say that I was writing a rather lengthy comment on the historical differences between Japan and the West concerning the evolution of exploration in various video game genres. I wanted to argue how the explorative qualities of games like Yume Nikki (and consequently .flow) were particularly unique, especially when considered in their context. I was quite pleased with it, it was coming along well.

Unfortunately, the laptop shut down, so FUCK YOU, nice game

I will always disapprove of the inclusion of any form of combat system in games like this, instead of keeping the focus entirely on stealth and puzzles

Esplicitamente ispirato ad Undertale co qualche tocco di Mother e Mother 3. Il punto di forza è rappresentato dalla pixel art molto curata e dalle animazioni - poche ma ben fatte. La OST è mixata un po' male, in certi frangenti diventa un casino pazzesco e un paio di volte è capitato che quasi si accavallassero due tracce diverse. Bella la scrittura dei personaggi, ma i rapporti tra di essi mi sono sembrati innaturali per quanto velocemente si sviluppano, o quando addirittura sembrano prender forma dal nulla assoluto. Le zone raggiungibili si espandono avanzando con la storia e i personaggi diventano man mano più complessi, ma manco troppo

A true gem when it comes down to game design, allowing also a very early type of emergent situations (es.: the bat can save you from the dragon if you are really lucky; you can push two items at the same time, circumventing the 1-item-inventory limit)

The Great Ace Attorney arriva ufficialmente in Occidente, a distanza di anni, grazie alla nuova localizzazione in inglese che ha permesso di sostituire quella realizzata dai fan (vedasi il lavoro del gruppo Scarlet Study).
Fare un commento sul gioco può risultare molto complesso, considerato che non solo è diviso in casi differenti (ciascuno con una propria qualità per quanto riguarda la scrittura dei personaggi, l’originalità o la qualità dei puzzle) ma, stavolta, anche in due archi narrativi: Adventure e Resolve. Va però detto come come divisione è fittizia: GAA non solo è stato pensato come unico gioco (la funzione è solo quella di spezzare un totale di oltre 60 ore di gioco) ma i suoi casi sono anche fortemente intrecciati. Ciò non sarà apparente da subito: soprattutto, giocando unicamente Adventure si avrà la sensazione che molte questioni siano lasciate in sospeso, che dei personaggi siano stati presentati per nessun motivo, che un caso sia un contenuto filler. Ciò viene prontamente smentito una volta completato Resolve. In entrambi gli archi narrativi, sono introdotte diverse novità molto interessanti che rendono il gameplay più vario che mai. In più, sono stati inclusi alcuni brevi filmati in formato anime e una story mode che permette di godersi il gioco attraverso la sola visione: il gioco procederà da sé, senza dover intervenire neanche nelle sezioni investigative. Certamente così facendo non sarà possibile leggere numerosi dialoghi, in quanto il gioco procederà unicamente verso la direzione orientata al completamento del caso. Purtroppo, entrambi i giochi alla loro prima uscita in patria realizzarono immeritatamente pochissime vendite nonostante le recensioni delle riviste specializzate e i commenti entusiasti dei giocatori, presumibilmente a causa della contemporanea transizione dalla console 3DS alla Nintendo Switch. Per concludere, nei vari casi si incapperà molto spesso in riferimenti ai vari racconti di Sherlock Holmes e ai Monty Python.
Vista la complessità del gioco, ritengo opportuno parlare dei casi individualmente.

The adventure of the great departure. Il primo caso, come al solito, funge da tutorial e da espediente per presentare alcuni dei personaggi ricorrenti. Il periodo storico è quello del XIX secolo, e il setting è quello del Giappone in pieno periodo Meiji: sono stati recentemente stipulati dei concordati tra impero giapponese e Gran Bretagna. Il personaggio principale è un antenato di Phoenix Wright, tale Ryunosuke Naruhodo. In questo capitolo, Naruhodo deve difendersi in tribunale dall’accusa di aver ucciso un docente inglese di medicina, tale John H. Wilson. Dico difendersi non a caso, dato che Naruhodo deve effettivamente essere l’avvocato di sé stesso, pur con l’assistenza del suo migliore amico: Kazuma Asogi, brillante studente di legge con qualifica di avvocato in Giappone. La percezione di molti dei giocatori è che questo capitolo sia eccessivamente prolisso: ciò vale in realtà per qualsiasi caso del gioco, per non parlare del quinto e ultimo di Adventure. In ogni caso, è probabilmente il tutorial più interessante nel franchise: la lunga durata permette di familiarizzare meglio con i personaggi, e l’uso di modelli 3D permette di coreografare momenti chiave. Restituisce anche un buon senso di familiarità, grazie al fatto che molti dei suoni sono ripresi o comunque simili a quelli adottati nei giochi precedenti. Inoltre, le animazioni di Asogi e di Naruhodo ricordano spesso e volentieri quelle di Edgeworth e di Wright. Va poi sottolineato che Naruhodo, tanto in questo singolo capitolo quanto nell’intera duologia, ha un’evoluzione come avvocato e come individuo più di quanto non abbia effettivamente mai avuto Wright. Da menzionare anche Taketsuchi Auchi, antenato della famiglia Payne: così come per i Payne, Auchi e il suo onore saranno per il giocatore vittima sacrificale nell’apprendimento delle meccaniche di gioco. Altro ruolo ricorrente è, ovviamente, quello del giudice: sarà finalmente un personaggio dall’atteggiamento più serio e competente rispetto a quanto abbiamo dovuto subire dai giochi precedenti. Il
character design è, anche stavolta, molto ben realizzato: molti accorgimenti sono stati presi per fare in modo che i personaggi fossero originali, trasmettendo informazioni circa la propria personalità e storia anche attraverso il proprio aspetto. Facile esempio è quello di Kazuma Asogi: il suo personaggio è molto legato alla propria patria, ma nutre anche una forte fascinazione nei confronti della legge e della cultura inglesi. Ciò è ben mostrato dal suo stesso vestiario, caratterizzato da elementi occidentali (es.: stivali e cintura in pelle) e orientali (emblematica la katana, oggetto esplicitamente personale che nei successivi casi diventerà simbolo del personaggio stesso). La sua personalità intraprendente e combattiva è poi esplicitata dalla bandana, mossa costantemente dall’aria. Il forte intreccio tra Inghilterra e Giappone è sin da subito presente. Pur trovandosi in Giappone, il primo caso ha inizio in un ricco ristorante inglese situato presso un porto: fa da simbolo del primo contatto dei personaggi con un mondo sontuoso e a loro estraneo. Ancora di più, è evidente la sudditanza e riverenza dei giapponesi nei confronti del popolo inglese: in particolare dall’atteggiamento servile di Auchi nei confronti di una donna inglese coinvolta nel caso. Altro elemento che pure diverrà ricorrente è quello del razzismo degli inglesi nei confronti del popolo giapponese: la donna inglese qui presente tratta sin dall’inizio con disprezzo e senso di superiorità gli altri personaggi, deridendoli frequentemente. Ricorrente è anche la contrapposizione tra ricchezza e povertà: un personaggio in particolare, il soldato Iyesa Nosa, per mantenere la propria famiglia col suo basso salario è costretto a ricorrere al furto (la condizione di povertà in questo caso è anche simboleggiata dal figlio, col moccio al naso – simbolo di cattiva salute). Meravigliose le animazioni stesse dei personaggi, che ora più che mai acquisiscono maggior personalità e caratterizzazione: certe situazioni sono coreografate e dirette in tal modo da risultare effettivamente spettacolari (es.: l’attacco con katana di Asogi ai capelli di Auchi). Un possibile difetto di questo primo caso sta nella quantità di passaggi necessari per evidenziare determinati punti: in certi casi (il più snervante è quello della moneta d’oro/del sangue sul vassoio) risultano essere talmente eccessivi da essere frustranti. Detto questo, la complessità del primo caso è più spesso un punto di forza che altro: lo rende sicuramente più vicino a quelli che saranno i casi successivi. Chi ha già familiarità con gli altri giochi della serie potrebbe avvertire la mancanza degli psyche-lock, ma non c’è da preoccuparsi: verranno sostituiti, nei casi successivi, da meccaniche a mio parere anche migliori e più divertenti.

The Adventure of the Unbreakable Speckled Band. Il secondo caso è notevolmente differente: non si svolge in un’aula di tribunale ma interamente a bordo di una nave. Identica è invece la sfortuna del protagonista: di nuovo, è sospettato per un omicidio e, così come nel primo Ace Attorney, avviene la morte del compagno/mentore del protagonista, Asogi. Il suo ruolo viene ricoperto, sin dall’inizio, da Susato Mikotoba (già introdotta nel primo caso): il suo design esprime delicatezza, data la sua ispirazione al concetto di yamato nadeshiko (la donna ideale nel confucianesimo) e il tema dei fiori di ciliegio disegnati sul suo kimono. Un peccato che la dipartita di Asogi non sia tanto dolorosa e sentita quanto quella della mentore di Phoenix Wright: emozionalmente è in effetti un caso talvolta sottotono. Anzi: per la prima ora, il giocatore potrebbe addirittura sospettare che Asogi sia ancora vivo. In più, Phoenix Wright dovette esaminare lui stesso il cadavere di Mia (ancora presente sulla scena del crimine): in questo caso, invece, tutto quello che si ha è solo la stanza in cui è avvenuto il delitto. Va comunque detto che, al contrario, la fase risolutiva ha un peso totalmente differente: nel corso della partita, viene più volte evidenziato il legame tra Naruhodo e l’amico, e la tragicità della sua morte viene comunque trattata in modo impattante (e che peserà sulla storia stessa, nonché sull’evoluzione di Naruhodo come personaggio e come avvocato). Vista l’assenza di un tribunale e, quindi, la mancata possibilità in questo contesto di sviluppare un caso attorno alle classiche meccaniche di accusa-difesa, sono state introdotte delle interessanti novità. Prima di tutto, viene introdotto un personaggio fondamentale e tra i meglio realizzati: trattasi di Herlock Sholmes, il cui nome è tratto da Arsène Lupin contre Herlock Sholmès di Maurice Leblanc. Anche in questo caso, il character design è fenomenale: il vestiario è tra lo steampunk e l’epoca Vittoriana, accentuando la distanza tra la cultura giapponese e quella inglese; inoltre, i suoi capelli riprendono la forma di uno sbuffo di fumo, accompagnando l’immagine della pipa che porta frequentemente alla bocca. Nuova meccanica molto interessante è il tipo di indagine conducibile assieme a Herlock Sholmes stesso: lì dove necessario il giocatore ha il dovere di correggere le deduzioni brillanti, ma sbagliate, del grande detective attraverso le spettacolari e coreografate Danze della deduzione. Questa meccanica assai divertente (nonostante ci sia un momento in cui occorre fare un’azione molto poco intuitiva) pare quasi una presa in giro della banalità di alcune delle situazioni in tribunale. Questi momenti sono resi anche più interessanti dalla traccia musicale adottata: non è l’unica in cui saranno presenti sia un violino (strumento classicamente associato al personaggio di Sherlock Holmes) che un violoncello, ma durante le Danze della deduzione assumono tutt’altro significato. I suoni dei due strumenti si intrecciano in modo tale da ben simboleggiare la cooperazione dei due personaggi che, insieme, sono in grado di giungere alla risoluzione del caso. In effetti, i due personaggi sono complementari in un certo modo e affrontano un destino similarmente drammatico. Anche in questo caso, alcuni dei misteri possono essere compresi dal giocatore ben prima della loro risoluzione.

The Adventure of the Runaway Room. I protagonisti arrivano finalmente a Londra. L’Inghilterra appare subito più moderna, frenetica, grandiosa. Gli edifici sono sempre maestosi, il vestiario degli abitanti sempre stravagante ed estremamente personalizzato. Nel caso corrente vengono introdotti numerosi personaggi fondamentali, carismatici e perfetti nella loro caratterizzazione: il primo è Mael Stronghart, il Lord chief justice di Londra, dall’aspetto nobiliare e con un design avente come tema l’orologio (oltre ad averne uno da taschino che consulta frequentemente, il suo vestiario riprende le lancette di un orologio, e il suo ufficio si trova in una stanza con all’interno enormi ingranaggi appartenenti al meccanismo di un orologio; a prima vista lo si potrebbe associare alla frenesia di Londra e al tempo, ma come si capirà solo più tardi si tratta di simboli delle sue macchinazioni, di cui intende essere supervisore e padrone). Si ha subito una forte percezione di ricchezza ovunque si rivolga lo sguardo. Si tratta, però, della sola impressione di facciata: i lati negativi di Londra non tardano ad arrivare, ma bisogna aspettare il capitolo successivo in quanto in quello corrente Naruhodo e Susato devono immediatamente recarsi al tribunale di Londra per occuparsi di un caso con la massima urgenza. Occorre difendere l’uomo più ricco di Londra, Magnus McGilded, da un’accusa di omicidio: si tratta del secondo personaggio fondamentale del capitolo, e primo simbolo della complessità culturale e linguistica di Londra essendo evidenti le sue origini scozzesi. Nell’aula di tribunale, si ha subito la sensazione della differenza col tradizionale tribunale giapponese del primo capitolo: in particolare, è subito evidente la presenza di una giuria. Il giocatore, da adesso, deve dimostrarsi in grado di convincere la maggioranza dei suoi componenti se si intende giungere a una conclusione: potrà farlo soprattutto attraverso una ulteriore nuova meccanica, la Summation Examination. Il tutto è, come ci si può aspettare, scriptato in modo preciso (non è possibile convincerne alcuni anziché altri, e l’ordine delle proprie azioni non ha alcuna influenza) ma ciò non va assolutamente a demerito della qualità dell’esperienza. Anzi, rende i singoli processi ben congegnati e ancor più vari. Torna l’elemento del razzismo e della distanza culturale: vari personaggi trattano Naruhodo con sufficienza e supponenza solo perché giapponese. In particolare, le derisioni provengono dalla bocca dell’avvocato dell’accusa, Baron van Zieks. Altro personaggio chiave, il design di van Zieks rimanda esplicitamente alla nobiltà inglese e alla figura del vampiro nell’immaginario popolare: di bell’aspetto e con un mantello nero, che solleva solennemente davanti a sé; inoltre, ha sempre con sé in aula dei bicchieri in vetro e delle bottiglie di vino, da bere (occasionalmente) e da scagliare in modo dissacrante contro le pareti (frequentemente; non a caso è proprio ciò che fa il Dracula di Castlevania : symphony of the night in un momento chiave del gioco). Ben ricalca la sua fama di portatore di morte nei tribunali inglesi (ogni caso in cui prende parte vede l’accusato perdere la causa o la propria stessa vita) e di spettro della città (prima di accettare questo caso, era scomparso da cinque anni). Il suo atteggiamento è sempre sprezzante nei confronti di Naruhodo: pur rispettandone apparentemente il ruolo durante i processi (tende sempre a chiamarlo in modo sdegnoso learned friend, come normalmente si userebbe fare rispettosamente tra avvocati), puntualmente deride le sue origini e la sua cultura. Un po’ diversa la questione per quanto riguarda il giudice londinese: è spesso imparziale ed effettivamente professionale, ben più interessante e studiato del giudice nei giochi con Phoenix Wright. Ciò detto, anch’egli non si esime dall’esprimere un atteggiamento occasionalmente discriminatorio nei confronti del protagonista. Questo caso è, a mio parere, il più interessante dell’intero arco narrativo: merito anche della sua complessità e di un tema chiave che verrà riproposto, e cioè se e quanto può essere opportuno per un avvocato difensore fidarsi dell’imputato. Infatti, col passare del tempo, emergeranno elementi che porteranno Naruhodo a dubitare sempre più fortemente dell’onestà del proprio cliente, fino a perdere quasi del tutto la fiducia nei suoi confronti.

The Adventure of the Clouded Kokoro. In questo caso (che è forse il più debole tra i cinque di Adventures), si offrono i propri servizi da avvocato a un altro studente giapponese, Soseki Natsume. Un letterario in questo caso, più specificamente poeta e autore di haiku (proprio come il suo omonimo reale). L’elemento del razzismo è immediato: un investigatore di Scotland Yard, Tobias Gregson, e alcuni suoi agenti maltrattano Naruhodo in quanto giapponese. Inoltre, Natsume non è stato in grado di trovare altri avvocati prima dell’arrivo del protagonista proprio perché straniero: sostiene di essere stato spesso deriso dai londinesi, e, anche a causa della barriera linguistica (altra causa di discriminazione) desidera tornare in patria. Qui, la contraddizione tra l’iniziale stupore nei confronti della maestosità di Londra e il vero volto dei suoi cittadini raggiunge il proprio apice. Fortunatamente, vengono introdotti anche un paio di personaggi positivi: in particolare un altro personaggio fondamentale, Iris Wilson – assistente e protetta di Sholmes. Torna l’elemento della povertà, stavolta dei cittadini londinesi e di come questi la affrontano e vivono in modo differente in base alla loro estrazione sociale. In particolare, è incarnata da due coppie. La prima è composta dai testimoni Patricia (Pat) e Roly Beat. Roly è un bobby, un poliziotto londinese (Pat-Roly rimanda in effetti al pattugliare, così come in questo contesto il cognome Beat). La loro povertà è indicata dal vestiario, ma questa non basta a rovinare il loro rapporto: anzi, sono l’uno dipendente dall’altro (magari in modo effettivamente patologico, come mostra la loro sciarpa), si amano alla follia e si sostengono attivamente a vicenda. Anche a costo di manipolare la scena di un delitto. L’altra coppia è composta da un testimone e dall’effettiva e involontaria autrice del crimine: John e Joan Garribed. Questa coppia vive spesso situazioni di acceso conflitto, ma nonostante questo anche loro si amano e sostengono a vicenda. Potrebbe apparire che lo facciano unicamente per questioni di apparenza: pur di non far trasparire il loro stato di povertà, la moglie finge di essere la domestica del marito, ma in più di un’occasione si nota come esista effettivamente ancora dell’affetto tra di loro. Ancora più che nel caso precedente, la competenza di van Zieks è evidente: è già uno degli avvocati effettivamente più capaci e intelligenti del franchise. Nella giuria ci sono dei personaggi già incontrati precedentemente: da un lato questo può essere segno che i tribunali londinesi sono un ambiente possibilmente corrotto (fanno parte della giuria un uomo che il protagonista si è inimicato nel caso precedente e la stessa Joan Garribed, che è moglie del padrone di casa dell’accusato), dall’altro contribuisce ad accentuare l’assurdità rappresentata dai personaggi stessi. Di nuovo, possono esserci indizi (es.: ritrovamento del libro bruciato) per i quali il giocatore può prevedere lo svolgimento degli eventi. Proprio per questo, tra l’altro, il gioco può essere percepito come più semplice dei predecessori, anche a causa della bassa disponibilità di prove da presentare che piuttosto sono acquisite in momenti avanzati del processo: nella prima metà, si punta soprattutto sul far cambiare idea alla giuria facendo notare alcune contraddizioni. Penso sia interessante, però, come questo sia uno dei pochi casi in cui non è presente un vero e proprio villain da affrontare: riesce a essere interessante (ci sono comunque alcuni plot twist) pur essendo perlopiù una successione di eventi sfortunati. Inoltre, fa da occasione per un’ulteriore crescita del personaggio di Naruhodo e per mostrare altri aspetti della personalità di van Zieks.

The Adventure of the Unspeakable Story. Conclusione più che buona del primo arco narrativo, risponde perfettamente a numerose domande rimaste in sospeso dal caso di McGilded. Soprattutto, alcuni personaggi introdotti precedentemente ottengono un ruolo centrale e vengono approfonditi in modo meticoloso (Gina Lestrade e Iris Wilson), la trama è costruita in modo tale da rendere i plot twist molto convincenti, a tutti gli effetti poco prevedibili, e c’è un bel parallelismo tra la partenza di Maya Fey e quella di Susato (entrambe tornano al loro luogo d’origine in quanto ritengono di essere – o sono ritenute – ormai inutili per il ruolo che dovrebbero ricoprire… o per via di un complotto). La composizione della giuria è ancora più assurda e improbabile che nel caso precedente. La durata di questo caso è piuttosto lunga, essendo più o meno il doppio di uno qualsiasi dei casi precedenti: ciò potrebbe renderla particolarmente pesante, ma di fatto la quantità di eventi annulla la possibilità che possa annoiare. In effetti, paradossalmente non risulta essere lenta rispetto ad altri casi più brevi anche grazie alla poca prevedibilità della maggior parte delle rivelazioni (specie se non si esaminano tutti gli elementi di ciascuno scenario).

Inizia, a questo punto, Resolve con il secondo arco narrativo. Le novità sono, rispetto al primo, prevedibilmente poche e nessuna per quanto concerne le meccaniche di indagine e di interrogatorio. Tornano inoltre numerosi personaggi, alcuni pressoché identici e altri piuttosto cambiati sotto alcuni aspetti (si è ormai a nove mesi dal primo caso sostenuto nel tribunale giapponese). C’è poi un punto negativo nell’intero primo arco narrativo. Spesso si hanno, al banco dei testimoni, almeno due persone (e un massimo di quattro). Ascoltando la testimonianza di una di esse, è possibile osservare le reazioni da parte degli altri presenti al banco: ciò avrebbe il grosso potenziale di rendere i processi più interessanti, aprendo la strada a ulteriori possibilità investigative e a una maggiore agentività del giocatore. Purtroppo, è un’occasione mal sfruttata: ogni reazione degli altri testimoni viene segnalata da un balloon con un punto esclamativo all’interno e un segnale acustico. Diventa quindi una meccanica estremamente banale e che poco aggiunge al gioco stesso. In una sola occasione, durante l’ultimo caso, hanno luogo due reazioni che non vengono segnalate in nessun modo, e che richiedono quindi un ulteriore (per quanto minimo) coinvolgimento e intervento da parte del giocatore: in più, non è immediatamente chiara la motivazione dietro le due reazioni, rendendole, anche così, ben più interessanti delle altre.

The Adventure of the Blossoming Attorney. Nonostante si tratti fondamentalmente di un unico gioco, vista la divisione in Adventures e Resolve questo caso viene trattato di nuovo come un tutorial. Stavolta, però, si vestono i panni di Susato: siamo di nuovo in Giappone (dove lei è effettivamente tornata ufficialmente per motivi familiari) e, indossando un travestimento per sembrare un ragazzo, deve occuparsi del suo primo caso da avvocato difendendo la propria migliore amica da una accusa d’omicidio (in questo, stavolta l’inizio è simile non solo al primo capitolo di questa duologia, per quanto concerne il legame tra due amici, ma anche al primissimo caso della serie di Ace Attorney). Susato abbastanza comprensibilmente non ha piena dimestichezza con i compiti di avvocato difensore (pur avendo ormai fatto da assistente a un certo numero di casi), ma in talune occasioni la sua incompetenza è probabilmente eccessiva: anzi, alcune delle sue riflessioni sono a tutti gli effetti un passo indietro rispetto a quanto di lei si è mostrato in Adventures. Apprezzabile che per il suo modello abbiano in parte riciclato le animazioni usate per Naruhodo (che ha indubbiamente avuto un impatto su di lei), lasciando spazio anche ad altre così da restituire un’immagine del personaggio più risoluta di quanto non fosse quella del primo protagonista al suo esordio (es.: non si rivolge all’avvocato dell’accusa – di nuovo Taketsuchi Auchi – in modo eccessivamente educato). In onestà, però, va detto che le animazioni riciclate sono effettivamente un po’ troppe. Come in tutti i casi, anche in questo processo si segue perlopiù un assurdo principio giuridico di colpevolezza fino a prova contraria (forse stavolta anche più del solito, visto che di fronte a una prova dal significato ambiguo il giudice e l’accusa propendono dichiaratamente per l’interpretazione che porterebbe l’imputata a risultare assolutamente colpevole). Le canzoni utilizzate sono le stesse fino ad ora sentite nei casi di Adventures, e, come già accaduto in altre situazioni, si fa uso di una traccia musicale in modo inatteso: alla sconfitta di Auchi si possono ascoltare le note di una delle tracce dedicate ad Asogi. Il caso è complessivamente classico nella sua struttura, aderendo a quello che ci si può aspettare da diversi casi della trilogia classica del franchise. Infine, si tratta di un casino sensibilmente più breve di tutti i precedenti (la durata è inferiore alle tre ore): il fatto che, a parte due eccezioni, i personaggi siano già noti diminuisce la quantità di tempo da dedicare alle presentazioni. Ai fini del worldbuilding, l’unica aggiunta significativa è quella di un giornalista che simboleggia un po’ il senso di giustizia di certi gruppi di giapponesi, sentitisi traditi dagli accordi con il Regno Unito. Diventa inoltre ulteriore elemento tangibile della capillarità della corruzione: abbiamo potuto osservarla tra cittadini di varia estradizione sociale, nelle aule di tribunale, nella stessa Scotland Yard, e, adesso, nella stampa. Inoltre, nonostante vengano riportati su schermo personaggi già presentati in Adventures, nessuno di loro viene ulteriormente approfondito. Fa comunque effettivamente da sequel (assistiamo al successo professionale di Soseki Natsume) e ha plurimi legami col primo caso del primo arco narrativo: tutti i misteri continuano a essere insoluti, ma indica inequivocabilmente che si intende percorrere una strada che permetterà al giocatore di comprendere la trama sottostante gli eventi più enigmatici.

The Memoirs of the Clouded Kokoro. In maniera atipica, si viene catapultati nel passato: per essere precisi, questo caso ha luogo alcuni giorni dopo la conclusione di The Adventure of the Clouded Kokoro ed è diviso in due giornate. Tornano alcuni personaggi, con cui è possibile interagire, e ci troviamo subito tra le mani un nuovo caso. Sventura vuole che l’accusato sia di nuovo il poeta, Soseki Natsume, per il tentato omicidio di William Shamspeare. Questi, tra l’altro, è senza dubbio uno dei personaggi più bizzarri e con più animazioni in tutto il franchise: se è vero che i modelli 3D e le animazioni adottate in questo gioco rendono ogni scenario più vivo e interessante, Shamspeare eccelle in tutto. Di livello particolarmente alto il momento in cui rivela di essere ancora vivo (che è anche uno dei più assurdi e divertenti) e quello in cui sta per essere dichiarato colpevole. Effettivamente, è un incontro e confronto tra due grandi letterati simbolo dei due paesi in cui hanno luogo gli eventi del gioco. Il processo avviene nel tribunale londinese e, anche stavolta, la giuria è composta da individui già visti precedentemente (con alla base una motivazione quantomeno lontanamente credibile, a differenza degli altri casi). A parte qualche scivolone qua e là, Naruhodo appare più deciso e determinato sin dall’inizio; al banco d’accusa torna van Zieks (è ormai chiaro che l’avvocato è interessato a ogni processo cui prende parte Naruhodo), che anche qui pone argomentazioni molto convincente e che lasciano immediatamente trasparire la sua abilità. In alcuni momenti si può quasi ancora notare un dislivello tra il mietitore di Old Bailey e il protagonista. Va anche detto che Naruhodo, stavolta, dimostra più in fretta del solito di essere un avvocato ben capace, facendo ragionamenti orientati a una più rapida soluzione. Stavolta il caso è particolarmente intricato, pur trattandosi solo del secondo dell’arco narrativo. Interessante la scelta di far sopravvivere la vittima di modo che possa addirittura testimoniare in aula: si è così potuto introdurre un ulteriore personaggio (Shamspeare stesso), evitando di lasciarlo dietro le quinte come accaduto in The Adventure of the Clouded Kokoro. Vengono, poi, riproposti diversi temi: l’avanzamento tecnologico e scientifico inglesi, il razzismo e la povertà. In questo caso, si mostra come gli artisti della città fatichino più di altri a sopravvivere, e come la disperazione e l’ossessione possano portarli a compiere le più gravi atrocità. È anche possibile osservare da vicino lo stato degradante di diversi immobili, tra cui una stanza ospedaliera. Emergono, purtroppo, alcuni problemi nella scrittura dei personaggi: considerato che si tratta di un caso che si colloca ad appena un paio di giorni di distanza dal quarto del primo arco narrativo, non ci si aspetterebbero importanti cambiamenti nei personaggi tra i due episodi. Eppure, ci sono alcune sostanziali differenze: la più significativa riguarda Naruhodo che, in questa istanza, non mostra più in nessun modo di essere tormentato dai dubbi riguardanti il caso in cui ha difeso Magnus McGilded. Allo stesso tempo, si capisce che a fini strettamente narrativi si sia preferito snellire. Infine, è possibile individuare due nuovi temi. Uno di questi accomuna molti casi, specie nel presente arco narrativo: Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro, attraverso la vendetta e la giustizia personale. Anche a costo di sacrificare degli innocenti. L’altro tema, invece, è quello del suicidio: se fino a ora è stato ridicolizzato (Auchi che sembra voler fare seppuku per disonore, così come per disonore il proprietario del banco dei pegni in Unspeakable Story si punta una pistola alla testa) qui viene presentato in modo serio e come un’alternativa plausibile. C’è da aggiungere, purtroppo, che mentre in altri casi il timing e la scelta delle tracce musicali sono pressoché perfettamente adatti alla specifica situazione (es.: al momento della risoluzione del processo di Magnus McGilded, la traccia parte in modo tale da rendere palpabile il senso di sconfitta avvertito dai due avvocati), lo stesso non si può dire in questo momento: la rivelazione viene tratta al pari di una qualunque altra, senza contribuire in nessun modo a darle un peso differente e a evidenziarne la distinta tragicità.

The return of the great departed soul. Si tratta di uno dei migliori casi dell’intero franchise, oltre che uno dei più complessi. Tornati al tempo presente, e di nuovo seguendo il format delle due giornate, si vestono nuovamente i panni di Naruhodo, cui è stata revocata temporaneamente la licenza di avvocato. Si è ormai nel pieno del periodo della Grande esposizione universale di Londra, cui si è fatto più volte cenno nei precedenti casi: difatti, il tema principale è l’avanzamento scientifico, come elemento ineluttabile della cultura inglese, con particolare attenzione verso le scienze forensi. Il tutto è intensificato dalla collocazione temporale, il 1900, che vede l’apertura a un nuovo secolo e di conseguenza al cambiamento del mondo e delle relazioni internazionali. Riguardo ciò, viene di nuovo posto un paradosso mostrando come il Regno Unito, e Londra nel caso specifico, non attribuiscano a determinati eventi critici il giusto peso rispetto al sensazionale: nella seconda metà del caso, si ha a propria disposizione una pagina di giornale riportante in piccolo, al lato della pagina, eventi disastrosi quali La grande puzza londinese e addirittura l’Eruzione del Krakatoa, soverchiati invece da un articolo da tabloid. All’inizio si familiarizza con van Zieks nel suo ufficio, così da conoscerlo più approfonditamente. Vengono gradualmente introdotti diversi personaggi, alcuni in modo tale da preservare un’aura di mistero, altri in modo più diretto in quanto facenti parte del processo da sostenere. Il loro numero, poi, è sorprendente: si ha un totale di cinque personaggi nuovi, tutti eccellenti dal punto di vista del character design, della caratterizzazione e, in generale, della scrittura in relazione al caso e come individui a sé stanti. Ho trovato particolarmente interessanti Garrideb Enoch (uomo di scienza, parte del suo corpo è composta da ingranaggi) e Madame Tuspells (al contrario, donna d’arte – riferimento a Marie Tussaud – e associabile a pratiche esoteriche). Più coinvolgente e divertente, qui, la Danza della deduzione: profittando di un tema sulla gravità, si è avuta la possibilità di dare un maggiore dinamismo alla scena e alle azioni dei personaggi. Sono anche presenti un paio di novità per quanto riguarda personaggi già noti. In più, stavolta i membri della giuria sono tutti nuovi. Dall’aspetto parrebbero essere tutti membri dell’alta società o comunque individui non ordinari: per qualche motivo, di nuovo non sembra esserci stata una selezione casuale. Questo sospetto emerge anche perché parte dei membri della giuria darà spesso il proprio parere in merito al caso, esprimendo più raramente un giudizio circa l’imputato, supportando le tesi della difesa (e quindi del giocatore). La scelta è più che azzeccata, in quanto il processo andrà avanti seguendo un ritmo calzante, dimostrando di essere molto più rivelatore di quanto non ci si potesse immaginare vista l’apparente estraneità dell’incidente di partenza. In più, van Zieks durante il processo sembra, all’inizio, sostenere per la prima volta posizioni di dubbia qualità e di valore non equivalente quelle dei casi precedenti. I sospetti, in questo caso, sono due: è possibile che voglia effettivamente evitare di mettere in difficoltà Naruhodo, tentando in modo sottile di instradarlo verso la corretta soluzione; è possibile che, parteggiando comunque per l’imputato (che è suo amico), tenda a credere a dare fin troppo credito alla sua testimonianza. Certamente, è anche possibile che si tratti di una superficialità nella scrittura dei dialoghi, ma sarebbe cosa piuttosto incoerente rispetto ai suoi comportamenti in tutto il resto del gioco. Allo stesso tempo, va aggiunto che Naruhodo sembra essere più abile e in grado di comprendere più rapidamente il concatenarsi delle prove e degli eventi: può non essere un caso il fatto che i puzzle qui presentati siano certe volte più complessi di quanto non lo siano stati in quelli precedenti, motivo per cui gli sviluppatori avranno anche deciso di dare un ritmo più rapido così da non rischiare di appesantire il giocatore. Il personaggio, ancora, dimostra in più occasioni di star evolvendo come professionista, dimostrando di saper trattare con sempre più confidenza le proprie risorse materiali e intellettive. Al netto di tutto ciò, comunque, non occorre aspettare molto perché inizi a succedere un casino, ma un casino vi dico: sono numerosi i colpi di scena e le informazioni che si sommano a quelle che hanno portato i personaggi fino a questo punto, e tutto ciò è stato sicuramente possibile soprattutto grazie alle otto e più ore di durata. Verso la conclusione, se ne trae una cosa in particolare: mentre i vari colpevoli di numerosi altri casi (non solo nella corrente duologia ma nell’intero franchise) hanno perseguito una verità personale con cui giustificare una altrettanto personale vendetta, Naruhodo nel caso corrente persegue ostinatamente la verità pur andando contro i suoi stessi interessi di avvocato. Una volta giunti alla conclusione del caso, infatti, e provata l’innocenza del proprio cliente, rifiuta di lasciare che il giudice concluda il processo pur di estrarre ulteriori fondamentali informazioni da alcuni dei testimoni, che possano permettere di mettere infine in luce determinati fatti che altrimenti non sarebbero mai stati noti. Per perseguire tale fine, fa comunque ricorso a quanto previsto dalla legge: a differenza di altri, Naruhodo sceglie di perseguire la giustizia e la verità usando gli strumenti della legge, pur riconoscendone gli inevitabili limiti e i forti rischi (cosa che, ormai, si è potuta evincere sin dal primo caso). L’episodio conclude con una spettacolare sequenza animata nella quale si adottano i modelli 3D stessi usati regolarmente nel gioco: si assiste a diverse rivelazioni, una delle quali, per quanto fosse ormai prevedibile, riesce comunque a essere interessante grazie al modo in cui si è scelto di compierla.

Twisted Karma and His Last Bow e The Resolve of Ryunosuke Naruhodo. Giungiamo quindi a una (lunga) conclusione. Per poter spezzare il caso, gli sviluppatori lo hanno pensato in due episodi differenti ma a conti fatti costituiscono una medesima unità e l’uno la diretta continuazione dell’altro. In entrambi gli episodi, tutti i misteri vengono svelati, e della maggior parte di questi non si aveva neanche idea: o perché elementi passati in sordina, o perché si tratta di rivelazioni dell’ultimo minuto che cambiano drasticamente ciò che si pensava di sapere fino a quel momento. Anche stavolta, quindi, succede un bordello di pazzi. Tutte le rivelazioni, comunque, sono totalmente coerenti con il complesso degli eventi e delle informazioni in proprio possesso, permettendo di completare una storia che, a conti fatti, risulta essere ottimamente scritta e con un considerevole numero di sorprese che rendono il gioco ancora più intrigante. Entrambi gli episodi hanno delle importanti particolarità: nell’aula di tribunale londinese non è presente alcun membro della giuria. Il processo, infatti, è tenuto a porte chiuse e tutto viene lasciato nelle mani del giudice, che, nel secondo caso, è Mael Stronghart stesso. Vengono gradualmente presentati numerosi nuovi personaggi, anche stavolta tutti dal design estremamente personale e ben realizzato. Spicca, in particolare, Daley Vigil, con un travestimento convincente, che ha un ruolo chiave nell’intera storia. Piacevole anche l’aggiunta di alcune nuove tracce musicali, utilizzate in concomitanza ad altrettanto nuove situazoni (es.: l’occasione in cui Asogi si trova al banco d’accusa). È inoltre presente una nuova Danza della deduzione che vede coinvolti Sholmes e il suo compare, ormai rivelato, che ne mostra la complicità e come le doti del detective siano, in presenza dell’amico, amplificate. Per concludere, i momenti finali dell’ultimo episodio vedono uno spettacolare confronto tra Sholmes e Stronghart che non ha eguali nell’intera serie. L’elemento che più fa il proprio ritorno è quello della trasformazione in ciò che si prova a combattere: la dimostrazione di come anche un puro di cuore può diventare una persona spietata e crudele nel momento in cui si rende conto che la legge non sempre può garantire giustizia.

Un dettaglio negativo per entrambi gli archi narrativi. C’è la possibilità di mostrare ai propri interlocutori, nello svolgersi delle indagini fuori dalle aule di tribunale, uno qualunque degli oggetti nel proprio inventario: ebbene, sono rarissime le istanze in cui l’interlocutore ha qualcosa da dire sull’oggetto. Quasi sempre ci si limita alla ripetizione di una frase, perdendo l’opportunità di approfondire i personaggi e il mondo di gioco. Al contrario, c’è di positivo che la quantità di oggetti esaminabili in un qualsiasi scenario è relativamente bassa, o per meglio dire essenziale: ciò permette di evitare le solite mostruosità tipiche del pixel hunting di certe avventure punta-e-clicca, e permette di non perdersi facilmente dettagli essenziali (laddove, per il normale proseguimento del gioco, è sempre necessario individuare tutti gli indizi fondamentali da portare in aula di tribunale). Nonostante questo, tutti gli scenari sono ricchi di oggetti e colore, riuscendo a rappresentare efficacemente il mondo di gioco e la sontuosità (o, in contraddizione, l’estrema povertà) degli spazi londinesi.

Concludo con informazioni supplementari: chi ha avuto modo di acquistare il gioco prima del 1° settembre ha a propria disposizione anche una raccolta di tracce musicali e di artwork accompagnate ciascuna da un paio di righe di commento dai relativi autori, così da poter meglio comprendere come mai si sono fatte delle scelte anziché altre (sono infatti presenti anche bozze iniziali e tracce scartate in itinere); nella duologia non sono stati inclusi due brevi casi che in Giappone sono stati disponibili in forma di DLC, a causa di questioni di diritti d’autore. Il miglior modo per recuperarli è banalmente attraverso YouTube: tant’è che si tratta di casi totalmente ininfluenti ai fini della storia e sono, per l’appunto, entrambi di breve durata.
----------------------------------------------------------------------------------------------
Se si vuol trovare un aspetto considerabile effettivamente negativo si può considerare come Takumi abbia preso a piene mani dalla letteratura poliziesca: situazioni presenti nei casi scritti da Ellery Queen, Jacques Futrelle o Edogawa Rampo sono qui riproposti con quasi alcuna alterazione, potenzialmente rasentando una forma di plagio

Purtroppo i server ormai sono pressoché vuoti, ma la modalità single player riesce a essere comunque divertente. Giocarlo con un amico è comunque molto meglio, e sinceramente consiglio di comprarlo solo se si ha questa possibilità: in particolare, più del PvP è secondo me la modalità Wave Survival a brillare. La varietà di armi, di nemici e di arene rende il tutto per nulla banale, e la possibilità di lanciarsi in attacchi aggressivi (incentivato dal fatto che varie creature avversarie difficilmente verranno abbattute in fretta, se si gioca in modo difensivo) con la propria tela (o con l'arma stessa, nel caso della spada laser) rende il tutto rischioso e molto adrenalinico. Gli stage a gravità zero sono probabilmente quelli che ho preferito in assoluto

Il lago non è Duria

L'idea di per sé è buona, si prende certe libertà riguardo le basi di Silent Hill e le cala nelle interpretazioni moderne di horror psicologico. Anche la ricostruzione del palazzone ecomostro tedesco è ben fatta, viva le atmosfere di Gesù Cristo. Certo, c'è una sezione in particolare che più che ispirarsi alla demo di Silent Hills ne fa proprio una rapina, ma questo fatto voglio volutamente ignorarlo.

Il problema che ho con questo gioco è quasi lo stesso che ho con quanto si è potuto vedere fino a oggi del remake del secondo capitolo: tutto è sottile come un macigno. Cominciamo col dire che, pur trattandosi di uno spin-off, viene spiattellato come Silent Hill sia diventata una sindrome psicologica: diventa così la giustificazione per portarne gli orrori fuori dai confini della città americana rinunciando ai fattori storici, alla mitologia e ai riti

Il mondo interiore della protagonista straripa e fluisce all'esterno, un po' come accade in SH2; e proprio come in SH2 c'è il senso di colpa e c'è l'espediente della smemorella, portando la protagonista a dover riscoprire il motivo per cui si trova in quel purgatorio. C'è un momento in particolare all'interno della scuola che riesce a essere molto affascinante e a fare una buona rappresentazione del senso di emarginazione e del bullismo. Il problema tematico è che, forse, c'è fin troppo poco che si leghi simbolicamente al suo senso di colpa, l'approfondimento è assente e buona parte degli ambienti introdotti racconta tutto in modo fin troppo chiaro: buona parte di ciò che ci si trova a (ri)vivere è legato alle effettive angherie subite dalla vittima; la creatura di Ito ha genesi da un secondo sub-plot, deriva dall'infanzia della protagonista, quasi un parallelo dell'Abstract Daddy di Angela Orosco

Questo non è necessariamente un problema, una semplificazione atta a riproporre e rimodellare le possibilità offerte dalla serie è anche accettabile per un gioco di un paio d'ore. Purtroppo, però, vuoi anche a causa di questa stessa brevità, è tutto condensato in modo talmente fitto che si finisce col raccontare fin troppo in quel poco tempo; e per farlo, ovviamente, occorre essere fortemente espliciti e annegare il senso di riscoperta della protagonista

Poi, con tutto il bene per Masahiro Ito (la nuova creatura che ha progettato per questo capitolo è molto bella), a livello di game design e level design sostengo tranquillamente che le sequenze di fuga in stile Outlast (come anche anche nello stile di parecchi altri horror psicologici usciti successivamente) non funziona. Specialmente se costringi a farlo almeno 3 volte nel corso dell'intera partita. Accettabile la possibilità di guardarsi alle spalle con un tasto, ma rimane il fatto che sta tutto nel correre all'interno di corridoi stretti che rimandano a SH1; un espediente molto economico per prolungare l'esperienza, banalizzando le potenzialità dei climax

Anche la conclusione, purtroppo, è un po' alla buona, alla Carlona, alla pappardella, una boutade

Edit: avevano tanti modi per integrare in modo nuovo e interessante il telefono cellulare in una storia simile, ma hanno deliberatamente scelto di percorrere quello più banale. E le sequenze live action le ho trovate proprio un'idea ciofeca. La butto lì: potrebbero veicolare la sensazione che quella della vittima fosse una bellezza autentica e concreta, o potrebbero indicare come i ricordi che la riguardano siano molto vividi nella mente della protagonista. In ogni caso, mi fa cacare

One of the earliest video games, I like it mainly because of my fascination derived from what I read and watched regarding its development. Honestly, considering the year of its release I cannot help but feel a deep sense of wonder also on the gameplay side.

On one hand, it's just a game where two players pilot two ships that can be easily destroyed by a single well aimed shot (or colliding with the celestial body in the center of the screen). Well, I don't give a shit.

Being a big fan of Sci-Fi novels, Steve Russell decided that the PDP-1 would be the perfect machine to make a combination of a Sci-Fi B-movie and a $120000 toy in which two people could face off in an lethal space duel.

Spacewar! was a revolutionary game in many ways, starting from the simulation of a gravitational field that constantly attracts the two players towards the center and that forces you to plan and adopt strategies in anticipation of the actions that the opponent will implement because of gravity as an uncontrollable external variable. Simple yet wonderful the star map that serves as a background (made by Peter Samson, who wrote a program based on real star charts - Expensive Planetarium) and whose stars serve as spacemarks for the player; ingenious the implementation of certain mechanics, such as the wraparound, a limited amount of fuel and ammos (31 in total) or the provision of a cooldown system (so that players could not abuse too much of their weapons).
I want to pay particular attention to the hyperspace mechanic, which allows a player in trouble to avoid an enemy assault by rematerializing in a random point on the screen (yes, there's a chance that you could materialize on the celestial body): interesting also the fact that sometimes it may not activate at all and that it is better not to abuse it since an excessive use increases the probability that your ship will self-destruct. Fascinating that they were able to create an animation that mimicked a spatiotemporal distortion, so that when the ship jumped it left behind what was called a Minskytron signature (in reference to Marvin Minsky's Three Position Display).
In addition, this is also the first game for which a gamepad (albeit rudimentary, since it was more like a wooden control box) had been created.

The icing on the cake is the fact that the game was what we would now call open source: It was never patented since Russell and colleagues wanted to leave it up to anyone to edit or rewrite It as they saw fit.

My first game from Kaz Ayabe

I find myself in a bit of a dilemma. While the game, on the whole, didn't quite resonate with me, it does harbor fragments of what I cherish in an adventure game. It weaves a tale steeped in magical realism; a family relocates to a town where, seemingly, daikaiju appear and fight every Friday

However, as one swiftly discerns by exploring the place and conversing with some of the adults, it's all a fictitious: the town has been chosen as a TV/Movie set for tokusatsu shows. Yet, this revelation is never explicitly stated; the lens is that of the protagonist, a kid who earnestly believes in the existence of these colossal creatures. The game unfolds as the child spends a couple of days with his newfound friends, endeavoring to unravel the mystery of the kaijus.

Well, in any case something quite mysterious eventually happens.

Basically, the game is an adventure encapsulated within the tight confines of the town: only a handful of houses line the streets we traverse, and the entire space can be explored in a mere 5 minutes. It's an adventure on a minuscule scale, with fixed-camera angles and exquisitely hand-drawn backgrounds. Talking about the fixed-camera angles, I found their use to be quite interesting.

3D models are sparingly used: characters (excluding a cameraman) and a train that traverses tracks leading to and from the town. This, to me, is one of the most captivating aspects of games: the presence of elements and systems that unfold in real-time, shifting from one place to another while the player is engrossed in another pursuit. Numerous times, I found myself anticipating the arrival of a train, reaching an underpass where I could hear the clatter of the tracks, and finally ascending to a vantage point from which I could observe the same train fading from the screen. These nuances, in my case, provide an almost grounded experience, allowing me to immerse myself in the fictitious setting on-screen. Regrettably, the rest of the game tends to be rather static, offering only fleeting impressions despite being developed by LEVEL-5. However, one should not expect too much, as it's part of the smaller projects from the Guild01 and Guild02 series, collaborations with other developers, published on the eShop.

The magical realism that permeates the game is particularly intriguing during those brief moments when it endeavors to reconstruct an era of Japanese suburbs. A period marked by technological innovation, economic prosperity, and rural realities converging - a blend of factors that provides fertile ground for the surreal aspects of this narrative. The fumes of industrialization, visible in the distant background (not integral to the story but contextualizing its historical backdrop), almost seem like a remote reality. In this context, tokusatsu serves as more than a symbol of the protagonist's growth; it mirrors the maturation of the entire Japanese town.

On several occasions we talk to the adults inhabiting this small town on the outskirts of Tokyo. These instances are practically the only times when you find yourself in rather confined, almost humble spaces, and in close proximity. Let's say that it's in these moments that you truly have the opportunity to appreciate both your own and others' facial expressions. On the contrary, the rest of the game (mostly spent conversing with friends and peers) unfolds in much larger spaces; at times, the perspective is from above, and the view extends towards the horizon. It almost creates a distinction between the adult world and that of the youth

A prominent aspect the game irks me: the necessity to traverse back and forth to engage in conversations with all the characters, gradually peeling back the layers of their mundane stories. I think the game gets kind of erratic in an annoying way. While this is formalized through a structure of progressing sub-quests, I didn't like it since it's all so brief, free and oversimplistic (I don't want to say superficial) at the same time. What's more vexing is having to do so in situations that, from the protagonist's perspective, should be particularly intense and urgent. Granted, this is a common occurrence in many games, where one can stop from doing something urgent to partake in secondary activities. However, in this case, I think an even more linear experience would have undoubtedly enhanced the overall immersion.

On the opposite, I didn't mind the card game. I don't really care about it and its rules though, since it mainly serves the story and the context - serving as a reflection of the television success of tokusatsu shows in the '60s and '70s. It mirrors perfectly the carefree nature of the children on-screen and the very magical realism that defines the story. The children's imagination materializes in their ability to merge cards and discover them in fragments.

While writing this comment of mine, I drew substantial inspiration from Cadensia's captivating review, which I wholeheartedly recommend you to read.

Final thought: the whole cast of characters is well made, each one of them has a distinguished personality that makes them kind of memorable.

I guess that my main grip with the game is that it almost feels like a very fast prologue that will never see an extension of its scopes.

Esperienza interessante, rilevante per dimensione storico-culturale ma un po' una palla al cazzo a giocarlo

Fa parte di una trilogia di titoli tra loro scollegati chiamata "Cinematic Live" (シネマティックライブシリーズ), con l'ambizione di proporre in forma videoludica un'esperienza prossima a quella del cinema. Trae forte ispirazione prima dalla letteratura Lovecraftiana e, in corso d'opera, dalla filmografia di Dario Argento, "Phenomena" in particolare: l'artwork della protagonista è identico a Jennifer Corvino, la colonna sonora riprende lo stile delle OST dei Goblin, etc.

L'esperienza ludica che se ne trae è nuova per l'anno di uscita; fino a quell'anno, nelle varie declinazioni del gioco horror venivano integrati sistemi di combattimento tali da rendere il protagonista capace di usare armi contro i propri aggressori, anche in quei casi in cui si impersonava un individuo relativamente ordinario (e.g.: "Alone in the Dark")

Al contrario, stavolta si è alle prese con una protagonista che si affatica e incespica, che ha bisogno di riposarsi per ripristinare la propria energia fisica, che si inpanica e che non è in grado di ferire i propri aggressori (ok non proprio ma spoiler): si può dire il capostipite di una certa quantità di horror psicologici, dai Silent Hill ad Amnesia

Il level design è abbastanza complesso, la magione è enorme e include numerose stanze con all'interno una certa quantità di oggetti con cui interagire. Tra le cose particolarmente interessanti ci sono un parametro di panico, rappresentato dal proprio avatar su uno sfondo colorato (il colore cambia in base al panico, ergo alla quantità di eventi spaventosi di cui la protagonista è spettatrice), e il fatto che si tratti di un gioco particolarmente aperto: è possibile recarsi in certe parti dell'abitazione prima di altre, a propria discrezione; questa libertà di scelta si riflette anche sulla tipologia di sequenze attivate (es.: andando prima nel bagno, si troverà il cadavere della propria amica; proseguendo senza entrarvi, invece, si vede l'assassino fiondarsi dall'alto buttando di sotto anche una delle vittime). A questo segue anche la possibilità di accedere a otto possibili finali, in base anche alla quantità di cose scoperte durante l'esplorazione

Edit: riconsiderazione fondamentale. Prima ho parlato di un parametro di panico, basandomi su alcuni articoli e sul fatto che il colore dietro l'avatar viene effettivamente alterato da eventi spaventosi (e.g.: la protagonista vede un dipinto che inizia a sanguinare).
Invece, leggendo anche il manuale del gioco originale, si parla più precisamente di forza fisica (体力), o stamina

Inizialmente avevo formulato una lamentela riferita ai movimenti parecchio lenti della protagonista, trovando quindi scorretto l'aumentare il livello di panico a causa della corsa. Prendo atto del mio errore, che però trova anche riscontro effettivo in un utilizzo ambiguo dell'HUD. Vero è che il colore dietro l'avatar indica ufficialmente la stamina; tuttavia, in presenza di un pericolo mortale (e.g.: un confronto con il killer), lo sfondo lampeggia in modo insistente. In questo caso, si entra in quella che viene definita "panic mode": il giocatore deve fare button mash per aumentare le proprie probabilità di successo nella fuga. Oggi siamo abituati a interpretare il button mash in un'ottica negativa, anche a causa del fatto che spesso e volentieri appare in concomitanza un prompt visivo; la sua inclusione in "Clock Tower", invece, funziona sempre in virtù del fatto che gli sviluppatori vollero fare in modo di mantenere costantemente un certo grado di tensione. Quella che potremmo definire una sorta di cut-scene non deve essere un momento di rilassamento da parte del giocatore, che si limita a essere spettatore: al contrario, deve rimanere coinvolto e sempre pronto a confrontare gli elementi di pericolo. Queste idee vennero poi riprese da altri sviluppatori (es.: il Team Silent per "Silent Hill")

In un modo sintetico, si sfrutta l'HUD per integrare due sistemi diversi e che dipendono l'un l'altro. La mia confusione deriva proprio dal fatto che non sono stato in grado di intuirlo, mentre sul manuale viene spiegato in modo esaustivo

La lentezza, per quanto io l'abbia trovata spesso tediosa ed eccessiva, ha comunque un proprio senso nella dimensione delle idee di game design, level design e sound design (tutto design): l'essere obbligati a spostarsi lentamente tra corridoi tetri ha sicuramente una buona giustificazione, amplificando sensazioni di inquietudine attraverso suoni diegetici (es.: a un certo punto c'è il suono di un telefono che squilla) e potendo sapere solo all'ultimo momento quand'è che l'assassino è nelle nostre vicinanze (lo segnala lo sferragliare delle forbici che impugna)