Sniper Elite 4 è esattamente quello che mi aspettavo: una trama pretestuosa e un gameplay ben calibrato.
Sicuramente non ho nemmeno scalfito la profondità che può avere SE giocato senza nessun assist e a difficoltà più elevate (giocato a difficile), ma già così questa è un'esperienza più tattica e ragionata rispetto ad altri TPS in cooperativa che ho giocato.
Quando le azioni manovrate di stealth, cecchinaggio e sabotaggio funzionano bene c'è molta soddisfazione.
Il mio elemento preferito e che non mi aspettavo sono le mappe: sorprendentemente sandbox e da sfruttare in tutto lo spazio per ricavare il massimo dal gameplay, oltre ad essere tutte ben distinte e affascinanti.
Insomma un gioco che fa il suo dovere senza cadere nella ripetizione considerando la durata, senza picchi estremi ma senza alcun difetto rilevante.

Per un motivo o per l'altro dopo l'esperienza dei due Xillia, nonostante l'impatto che ha lasciato su di me il primo capitolo della storia di Milla Maxwell & co. ho perso per strada questa saga di JRPG.
Con un 3DS da consumare e i generali commenti positivi che Tales of the Abyss ha tra i fan, mi sono attrezzato per tornare finalmente dove ho lasciato un pezzo di cuore.

L'impatto iniziale non è stato dei migliori: l'impressione generale che lascia e, ripensando anche agli altri due capitoli che ho giocato, che lasciano i Tales of è quella di una saga con un tono parecchio anime. Un conto è interfacciarmi con questo a 17/18 anni, un conto è oggi, a 27 anni, finiti gli studi e parte della macchina produttiva mondiale in mezzo ai boomer per 9 ore al giorno.
Il tono è quantomeno uno a cui ho dovuto riabituarmi, soprattutto su alcuni personaggi come Luke (in particolare il primo Luke) e Anise. Mi rendo assolutamente conto che nel primo atto Luke è scritto come una faccia da culo di proposito, ma in alcuni casi secondo me si è calcata troppo la mano, tanto che l'evoluzione del personaggio diventa telefonata fin dalle prime ore (non nelle modalità ma nel fine).

Detto questo non starò qui a fare il bastian contrario e dire che la scrittura dei personaggi sia di basso livello, anzi.
Di fatto questo era l'aspetto che più mi mancava di Tales of, perché ancora oggi di Xillia porto con me le personalità del party.
Ciò che fa bene Tales of the Abyss è dare incessantemente voce ai suoi personaggi, il rateo cutscene/gameplay è praticamente 1:1, se non di più considerando la quantità smisurata di dialoghi opzionali. Non tutti i dialoghi sono fondamentali ma tutti i dialoghi contribuiscono alla modellazione delle personalità dei compagni di viaggio, ed è per la volontà di fare questo passo in più, così come per il lavoro degli ottimi doppiatori (giocato in inglese) che voglio sottolineare la qualità di questo aspetto.
Parlando dei personaggi quindi posso dire che non ce n'è uno che non abbia apprezzato.
Tra i miei preferiti parto da Anise: comprendo che i personaggi bambini siano facilmente detestabili, e, come dicevo, pure per me Anise è inizialmente difficile da mandare giù, anche perché per tutto il primo atto la sua unica caratteristica è, scherzosamente o meno, voler sposare un uomo facoltoso, cosa che è particolarmente disagiante vista la sua età. Una volta rivelata la sua situazione familiare però, è diventata per me un personaggio molto interessante, riflettendo sul come agisca da ragazzina. In parte mi ha ricordato Yuffie, un personaggio "fastidioso" ma che nella sua ingenuità, a causa dell'amore che ha per le sue radici, agisce puerilmente per proteggerle.
Tear ha la caratteristica di essere il più imperscrutabile dei personaggi del party: raramente aperta a raccontare cosa prova o cosa pensa, è la ragazza che più deve mettere in gioco i suoi sentimenti e ciò in cui crede durante la trama, oltre a dover soffrire fisicamente, il tutto con grande stoicismo. Forse non è il più narrativamente mutevole dei personaggi ma quello che ho ammirato di più a livello di carisma.
Jade è il vero MVP di Tales of the Abyss, tanto da dover essere nerfato all'inizio della trama. L'ironia, il sarcasmo e il pragmatismo sono le cose che più mi hanno colpito di Jade. In particolare nelle battute finali la sua freddezza e la sua capacità di fare la scelta anche difficile e dura, a scapito di persone a cui veramente vuole bene, mi hanno sorpreso. Spesso, in questo tipo di narrazioni, affiora sempre l'idea che la via più nobile è quella dove si possono salvare capra e cavoli e dove si è gentili (ne avevo parlato per quanto riguarda Atelier Lulua), qui, per quanto poi magari non si rispecchi veramente nei fatti, le scelte e i ragionamenti di Jade non vengono inquadrati mai come negativi.

Ma il mio aspetto preferito riguardante i personaggi rimane la loro gestione, quanto parlano e quanto interagiscono tra loro. Di ogni personaggio esiste una relazione tangibile con tutti gli altri, non solo col protagonista e non solo in gruppetti.
Ci tengo anche a dire che Natalia e Guy non sono per niente personaggi minori e di fatto è una questione di mera preferenza. Guy è un ottimo best buddy, che non ha paura di dire senza peli sulla lingua quello che pensa per il bene dei suoi amici e Natalia è affascinante nelle sue insicurezze e nel modo in cui le combatte. Certo, di questi due personaggi non mi piacciono alcuni aspetti: di Guy la sua fobia delle donne, che è giustificata abbastanza male e gestita, di nuovo, in modo molto "anime" e di Natalia la sua backstory, che mi sembra cada un po' dal cielo e buttata nel minestrone che è la trama di Tales of the Abyss.

Parlando della trama infatti, mi sono ritrovato di fronte al più classico dei casini narrativi jrpgistici. In particolare, la necessità di inserire meccanismi e lore personalmente incomprensibili così prepotentemente nella narrazione principale non è stata vincente nel agganciare il mio interesse. La presenza di Luke che nel primo atto spesso dichiara come non ci stia capendo nulla sembra quasi un'ammissione di colpa degli sviluppatori.
La voglia di buttare così tanti elementi nella trama principale mi sembra abbia annacquato molte delle buone idee. Un esempio è appunto la backstory di Natalia, o il tradimento di un personaggio gestito secondo me male nella reazione del party. Questi sono elementi "cucinati" a metà che non colpiscono come altri e danno la sensazione di lungaggine.

A tal proposito l'elemento che ho sofferto di più di quest'opera è la gestione del ritmo e del tempo del giocatore. Dopo un primo atto classicamente introduttivo e giustamente lento, con un finale sorprendente, dal secondo atto letteralmente la maggior parte del tempo è spesa in viaggi principalmente da una città già visitata all'altra. La media è di qualcosa come 4 spostamenti con cutscene di esposizione seguita da forse un dungeon o una boss fight. Mi rendo conto che l'idea fosse quella di creare una trama complessa anche molto politica, e sicuramente questo obiettivo è stato centrato, tuttavia mi chiedo se si potesse fare in diverso modo.
Spostarsi nella world map è noioso, si poteva tranquillamente passare da una cutscene all'altra, tagliare, rendere disponibile da subito il viaggio rapido...
Tales of the Abyss è un JRPG di 40/50 ore che pesa come se ne durasse quasi il doppio.

Purtroppo la mia esperienza si è aggravata non avendo apprezzato molto nemmeno il gameplay.
Ho trovato il combat system acerbo, con delle buone idee, come il Field of Fonons, che alla fine dei conti servono a poco. I combattimenti sono stati per me una questione di button mashing, fughe con corsa libera e gestione delle risorse.
Anche per la parte ruolistica mi sento di fare lo stesso discorso. Le camere che permettono lo sviluppo di caratteristiche specifiche e la possibilità di sviluppare liberamente le arti singole sono buone idee ma non ne ho trovato un effetto tangibile nel gameplay e gli equipaggiamenti scalano e basta a esclusione di alcuni accessori.

Ho apprezzato invece molto la progettazione dei dungeon: mai inutilmente lunghi e con enigmi della perfetta difficoltà, quella della leggera frustrazione ma mai tale da guardare una guida.
I dungeon poi, come anche le città, sono tutti molto distinti ed esteticamente piacevoli, nessuna sensazione di corridoi anonimi né nella presentazione, né nel gameplay insomma.

Volevo chiudere parlando dell'ottima scrittura attorno ai temi di Tales of the Abyss.
Tornano spesso, con diversi personaggi, stimoli a riflessioni sull'identità (Asch, Natalia, Synch) sulla redenzione (Jade) sull'amor proprio (Natalia)... C'è un'originale (per il genere) pensiero non anti-religioso ma solo anti-ecclesiastico (con Mohs, Anise e Tear).
Luke, il protagonista, nel suo arco di evoluzione, racchiude un po' tutti i temi sopracitati e, nonostante mi sia lamentato della sua scrittura nel primo atto migliora molto successivamente. Ho sentito spesso dire che dopo il suo cambiamento Luke diventa un classico protagonista da Tales of ma io credo sia molto più affascinante: fino alla fine del terzo atto Luke non completa il suo arco narrativo ma deve risolvere altri problemi psicologici dopo che gli è crollato il mondo addosso, per diventare la miglior versione di sé stesso.
Luke e il party sono contrapposti agli Oracle Knights, compreso Asch, per la loro capacità di cambiare, per aver superato i loro traumi, un passo alla volta.

Ma la contrapposizione più importante e l'insegnamento più a me caro di questo gioco è quella che riguarda l'interpretazione del sacrificio. A scapito poi di un piano di cui, onestamente, trovo un po' di fallacie logiche, la contrapposizione sottile e fortemente tematica tra Van e il party è quella che vede il sacrificio come massimo atto eroico contro invece la volontà di vivere sbagliando e cercando un modo, lottando.

La miglior celebrazione della vita è vivere.

Space Channel 5 è esattamente il concentrato di euforia musicale che mi aveva già trasmesso Rez Infinite, il che non è così sorprendente considerando arrivano entrambi dalle idee di Tetsuya Mizuguchi.

Space Channel 5 è un musical interattivo, il gioco più funky che abbia mai giocato e un gioco che non mi vergogno a dire ho completato ballando male per tutto il tempo; perché così come per Rez Infinite ho abbandonato i miei sensi alla trance per godermelo al 100%, qui ho abbandonato il mio corpo al ritmo, anche al fine del gameplay!

Mi è piaciuto molto come, a differenza della maggior parte dei rhythm game, che sono supportati da un'interfaccia grafica, Space Channel 5 mi abbia lasciato affidarmi unicamente alla mia capacità di tenere il tempo, aiutata appunto dal non stare fermo davanti allo schermo.
Space Channel 5 non è nemmeno particolarmente gentile dal punto di vista della difficoltà, soprattutto se si vogliono raggiungere percentuali di indice d'ascolto alte. In particolare il boss finale è un mezzo palo nel culo. Ma almeno è stato soddisfacente vedere il non-ironicamente epico finale.

Oltre a questo, Space Channel 5 ha anche tantissimo carattere e personaggi con un sacco di carisma che bucano lo schermo nonostante l'ora e mezza scarsa di gameplay. Ulala è veramente iconica e le animazioni dei dance break spettacolari, gli alieni mi ricordano qualcosa e l'atmosfera è assurda, talvolta assurdamente comica (io ho sicuramente riso al "they got Space M**).

Amando quindi "music, dance and game" (come riporta la dedica a fine titoli di coda) ho amato Space Channel 5, un'esperienza unica, seppur breve (anche includendo le sfide extra possibili); uno dei titoli che eleva questa forma d'arte, ampliando lo spettro delle emozioni e delle sensazioni che può trasmettere.

Quando ho acquistato The Alliance Alive aveva tutte le carte in regola per essere una perla nascosta esattamente adatta ai miei gusti: un cast corale reminescente di quello di Final Fantasy VI , Masashi Hamauzu alla musica (inserito in una sorta di dream team), una componente gestionale e un generale interesse per il titolo molto limitato.

The Alliance Alive mi ha sorpreso sotto alcuni aspetti e mi ha lasciato a desiderare su altri (forse questa è una lezione di vita sulle aspettative).
Ciò che non mi aspettavo è il gameplay così complesso, profondo e particolare.

Partendo dal sistema di combattimento, che è sì basato sulla turnazione classica ma è parecchio originale. Il party schiera 5 dei 9 (escludendo i personaggi opzionali) personaggi in battaglia, in un sistema a scacchiera con tre linee di schieramento dove ogni personaggio può ricoprire un ruolo d'attacco, di guardia o di supporto. Questi elementi compongono la formazione di battaglia, che in parte mi ha ricordato il sistema dei paradigmi di Final Fantasy XIII. Le formazioni vanno create appositamente prima delle battaglie in un numero limitato e possono essere cambiate all'inizio di ogni turno di battaglia. La formazione è un elemento fondamentale del gameplay e passare ore creandone di nuove, riflettendo su quali personaggi possano interpretare quali ruoli è stato molto soddisfacente, e, considerando che avanzando nel gioco si possono sbloccare nuovi ruoli, questa non è stata un'operazione fatta una sola volta.
I personaggi si adatteranno alla formazione a seconda delle loro statistiche e delle loro armi, ma sempre con assoluta libertà. Un alto valore di END si adatta a un personaggio in una posizione di guardia che permette di applicare arti difensive a tutto il party, in prima linea, dove il valore di "aggro" è più alto, facendo di fatto da tank. Un personaggio al quale si assegna un'arma magica lo si può schierare in fondo alla formazione, dove ha meno probabilità di essere bersagliato, in una posizione di supporto, magari una che aumenta l'efficacia delle operazioni di cura. Questi sono due esempi semplici ma, come detto, le possibilità sono molteplici.
Le azioni, o meglio le arti, utilizzate dai personaggi sono determinate dall'equipaggiamento utilizzato e tornando al concetto della formazione, ogni arte ha una distanza ottimale dal nemico che aumenta o diminuisce il modificatore del danno. I personaggi possono portare fino a 2 armi, consentendo una certa libertà di scelta, considerando che le arti si differenziano per danno, mana consumato, AoE, elemento e efficacia contro particolari categorie di nemici. A queste si aggiunge la magia, che necessita armi specifiche o alcuni degli accessori equipaggiabili nei 2 slot dedicati a ogni personaggio per fungere da catalizzatore per poter essere utilizzata (in realtà ci sarebbe una distinzione da fare su due tipi diversi di magie di cui uno non necessita equipaggiamento ma può essere utilizzato solo da alcuni personaggi).
In ultimo, in questa panoramica, è presente il classico "Limit Break", che permette di accedere ad arti particolarmente potenti ma che determinano la distruzione dell'arma utilizzata. Le armi, da un certo punto del gioco in poi, sono facilmente riparabili ma anche solo nell'economia del combattimento stesso singolo la distruzione di un'arma è una scommessa non da poco e risulta in una mossa strategica non indifferente.
Una note negativa legata alle arti riguarda le debolezze e resistenze. Gli attacchi elementali non sono molti, e sono soprattutto magie utilizzabili da pochi personaggi, inoltre gli eventuali buff e debuff mi sono sembrati poco impattanti sul danno.

Come il sistema di combattimento, anche il sistema di avanzamento è molto particolare (nonostante mi sembra di capire che riprenda elementi di SaGa che non ho mai giocato).
Le statistiche principali dei personaggi rimarranno tali per tutta la durata del gioco, ciò che aumenta, oltre all'equipaggiamento che può presentare modificatori alle statistiche, sono gli HP, gli SP e il livello delle arti. Queste ultime statistiche saranno livellate in maniera casuale, senza un sistema di exp e soprattutto contro nemici forti, un sistema che limita la necessità del grinding, rendendo significativi solo gli incontri contro i molti miniboss opzionali (ottima cosa considerando anche l'opzione di 2x e 4x per combattimenti insignificanti).
Per quanto riguarda le arti, saranno sbloccate tramite "awakening" casualmente durante le battaglie, come parte del sistema di avanzamento, regalando anche qualche momento di rng favorevole o meno che personalmente mi esalta sempre molto. Il livellamento delle arti invece è legato alla posizione, cioè, se utilizzo una particolare arte in una posizione di attacco avrà (oltre ai vari modificatori legati alla posizione) un livello diverso da quello della stessa arte utilizzata in difesa, ed è possibile migliorare l'efficacia semplicemente utilizzandole.
L'ultimo elemento di avanzamento sono i talenti, che tuttavia sono un po' sottosviluppati. Principalmente riguardano il risparmio di SP e velocizzare il livellamento dei personaggi, ma l'acquisizione dei talenti è particolarmente lenta (in linea col fatto che sono poi pochi).

Non sono solito scrivere panoramiche di gameplay ma questa è stata la parte più sorprendente del titolo e decisamente quella meglio riuscita.

La direzione artistica è molto particolare, a mio parere funziona e non funziona. Lo stile chibi è molto particolare e il character design stiloso ma smorza purtroppo alcune parti drammatiche della trama, gli ambienti sono altrettanto ben realizzati ma si sente come siano nativi di 3DS in alcuni elementi e lo stesso Hamauzu, per quanto in gran forma, è stato probabilmente limitato dall'hardware, il suo stile c'è comunque e se piace come al sottoscritto sarà una goduria. Ho apprezzato, in ultimo, la scelta di non doppiare il gioco, rendendolo simile ai JRPG dello scorso millennio.

Il "problema" più grosso di The Alliance Alive è la narrativa. Il setting, la vicenda e i personaggi coinvolti sono piuttosto classici, ma questo non è per forza un difetto.
L'ambientazione è comunque suggestiva e le regioni esplorate ben distinte e spettacolari, animate da npc con cui vale sempre la pena parlare. A proposito di questo The Alliance Alive ha nei suoi punti di forza anche un'esplorazione particolarmente soddisfacente, ogni angolo del mondo nasconde una piccola storia secondaria che aiuta "l'alleanza" nella sua missione e dice qualcosa in più del mondo di gioco, che fino alla fine della mia partita è rimasto in parte solo interpretabile nella sua affascinante lore. L'esplorazione è soprattutto funzionale allo sviluppo della parte "gestionale" del titolo. Reclutando diversi npc durante il gioco si possono sviluppare 5 diverse gilde fondate dall'alleanza. Queste forniscono supporto in battaglia se l'area di combattimento è coperta dall'area di influenza di una delle torri costruite dal giocatore. Inoltre reclutare ulteriori membri delle gilde porta a sviluppare nuove funzioni, per esempio sviluppare la gilda tattica crea nuove possibilità di formazioni e alcuni elementi di gamplay, sviluppare la gilda dei fabbri porta a nuovi equipaggiamenti ecc...
Tra questi momenti esplorativi sono presenti anche alcuni personaggi del party totalmente opzionali ma trattati con il giusto rispetto, tanto, per esempio, da apparire nei filmati pre-renderizzati, e interagire attivamente in alcuni momenti della storia. Menzione particolare a Robbins, my beloved.
A proposito dei personaggi, questi rispettano, come anticipato, alcuni trope, ma, complice la buona scrittura dei dialoghi e la quantità di interazioni, sono comunque molto piacevoli, anche se alcuni più di altri. Come esempio, Tiggy ha un gran carisma e sembra quasi la leader del gruppo mentre dovrebbe esserlo Galil, un classico eroe che non dice molto. L'idea del cast corale senza vero protagonista in un JRPG rimane per me sempre vincente, soprattutto se questo si amalgama, come in questo caso, con il tema di unione, forza del gruppo e anche, in modo più o meno velato, alla forza di una società multietnica e propensa al cambiamento.

Ma quindi quali sono i problemi? Secondo me ce n'è uno in particolare che è valido sia per i personaggi che per la trama, ovvero la mancanza di evoluzione. La trama è veramente molto lineare, si va dalla ricerca degli "oggetti x" sparsi per il mondo (il pretesto più stupido per esplorare un mondo in un JRPG) al raggiungere il "cattivo" finale, senza particolari colpi di scena che non siano di lore e totalmente ininfluenti/missabili. Sono presenti dei momenti forti dal punto di vista emotivo ma soprattutto localizzati all'inizio della vicenda: una volta che il party inizia ad ingranare non si ha mai il classico fallimento che porta a rialzarsi, o un conflitto di qualche tipo. Di nuovo, questo non è per forza un problema, perché la sceneggiatura funziona ma non brilla. Il gioco si regge sulle interazioni tra il party che impara a conoscersi col passare del tempo, sul gameplay e sulle piccole sfide localizzate che incontrano nelle varie parti del mondo.
I personaggi stessi sono quasi immobili. C'è solo un personaggio che risulta cambiato a fine vicenda, se non conto una minima crescita di un personaggio opzionale (che però è scritto molto superficialmente). Di questi c'è anche poca introspezione e poco background, non si esplora mai, come in un Final Fantasy VI il passato dei personaggi, per non parlare della personalità dei nemici praticamente inesistente.

In The Alliance Alive quindi ci ho trovato poca emozione (per me molto importante piangere mentre gioco lmao), ma, avendoci giocato 80 ore senza mai annoiarmi, questo è comunque un testamento al fascino dell'ambientazione, del gameplay e alla simpatia del party e dei personaggi secondari. Sicuramente da giocare.

Ebbene, dopo aver concluso anche il terzo e, bene o male, ultimo volume della serie .hack//G.U. posso finalmente, con cognizione di causa dire:

Come cazzo ha fatto .hack//G.U. a diventare un cult?

Questa serie parte da buoni premesse, ai tempi credo anche molto originali. Il mondo nel quale The World è diventato l'MMORPG più giocato è descritto con minuzia e paurosa prescienza, affiancandosi in questo specifico aspetto a capolavori come Metal Gear Solid 2 o The Silver Case. In .hack//G.U. è lasciato molto spazio alle notizie sull'arte, sulla politica e sulla tecnologia contemporanea, nel gioco sono addirittura presenti dei piccoli corti d'animazione riguardanti diverse notizie e una serie di video più lunghi dedicati al giornalista di inchiesta Salvador Aihara (il Gabibbo di .hack).
Le notizie sono persino commentate su forum dedicati, dove diversi utenti, che ho pure imparato a riconoscere, essendo sorprendentemente caratterizzati, parlano di The World, delle News, di leggende metropolitane e del TCG virtuale del momento. Esiste persino una piattaforma dedicata alle fanart dove disegnatori amatoriali ritraggono i giocatori più famosi o loro stessi dando la possibilità di utilizzare le loro creazioni come sfondi per il desktop virtuale.
Il desktop virtuale appunto è tutto ciò di cui ho scritto finora, perché è l'unica parte del gioco che ho apprezzato!
Già che ci sono cito anche il Crimson VS, gioco di carte collezionabili automatico abbastanza divertente e con artwork davvero carini.

Quindi insomma la parte di .hack//G.U. che ho preferito è la parte in cui non si gioca, perché tra trama, personaggi e gameplay non ho trovato nulla che brillasse e solo molte cose che non mi sono per niente piaciute.

Partendo dal gameplay: il sistema di combattimento è sostanzialmente button mashing di un unico tasto, intervallato da arti à la Tales Of da far partire in alcuni momenti specifici per ottenere massima efficacia. Esiste un sistema di parata statico che si usa praticamente solo nel momento in cui si affrontano attacchi particolarmente pesanti. Nel corso dei primi 3 volumi si utilizzano 4 armi diverse che danno il minimo possibile di varietà d'approccio, ma di fatto quello che varia è la velocità tra una pressione del tasto X e l'altra. Esistono poi tre tipi di "supermosse finali", la prima un power up, la seconda un qte e la terza una normale arte (che però serve a craftare armi leggendarie). C'è un'ampia varietà di oggetti utilizzabili in battaglia ma di fatto sono utili solo in alcune boss fight che richiedono effettivamente di guardare lo schermo mentre si affrontano.

Il loop di gameplay è lo stesso per circa 90/100 ore di gioco per tre giochi. Dungeon crawling di 4 aree ripetute allo sfinimento (Field, in diverse condizioni atmosferiche, la caverna, "il tempio", "la foresta" e gli outer dungeon), gli incontri nell'arena (tre tornei uno per gioco, tutti uguali), la boss fight seguita da un'altra boss fight stile bullet hell.

Il sistema ruolistico è invece abbastanza decente. Ovviamente non ci sono scelte legate all'avanzamento del personaggio ma ottenere equipaggiamenti nuovi e potenziarli è abbastanza soddisfacente ed è molto carina la meccanica di scambio oggetti con gli altri giocatori di The World. Questa feature l'ho anche utilizzata per essere sicuro che tutti i personaggi del party fossero equipaggiati decentemente. Sono poi presenti i classici negozi, compreso uno personale dove si possono vendere i propri oggetti (altra bella idea), più per una questione di spazio nell'inventario che per un bisogno di soldi, considerando che se ne guadagnano davvero tantissimi. L'equipaggiamento è potenziabile e ben personalizzabile e sarebbe tutto fighissimo se non esistesse un gigantesco problema:

La difficoltà. Ho letteralmente giocato a .hack//G.U. sempre avendo occhi su altro (video, stream ecc.) perché la concentrazione richiesta è 0. Avrò fatto 2 game over in 98 ore di gioco. Punto.

Per quanto riguarda trama e personaggi non ho molta voglia di dilungarmi sui dettagli. Praticamente tutti i personaggi ricadono sostanzialmente in cliché classici anime che possono anche essere sufficienti ma non vanno mai oltre a questo, la trama aveva un gran potenziale ma imho non va in nessuna direzione interessante e l'ho trovata anch'essa parecchio stereotipata.
Il problema vero che ho con la narrazione in .hack//G.U. è quanto The World venga considerato importante e "reale" dai personaggi. Ha così tanta importanza essere un PK o un PKK o quanto mi piace combattere piuttosto che guardare i panorami in-game? Perché in nessun momento le persone dietro agli avatar "escono fuori"? Avrei voluto tantissimo un approfondimento su chi haseo fosse nella propria vita o sapere il perché Yata è un adulto (immagino) ma si comporta come un adolescente edgy.
Il fatto è che ci sono anche ripercussioni nel mondo reale in quello che succede in-game ma tutto è trattato in modo veramente superficiale e con reazioni umane inesistenti. Quando alla fine di Vol. 3 succede una cosa veramente impattante sulla vita vera i personaggi non la trattano come tale, mi veniva da pensare se effettivamente stavano capendo cosa stesse succedendo. Perché se ci sono casi di Lost Ones tutti continuano a giocare? Dove sono gli umani dietro a questi personaggi? Chi è dietro la CC? Che senso aveva il piano di Ovan?
Insomma, non me n'è fregato nulla di ciò che succedeva per quasi tutto lo svolgimento della trama, mi è piaciuto giusto giusto qualche "character moment".

Dunque tirando le somme. Il mondo di .hack ha molto fascino, tra l'altro graficamente e a livello di art direction non è stato fatto un brutto lavoro; ci sono anche molte belle idee ma di fatto è tutto sfruttato malissimo creando una storia generica e un gioco mediocre. Mi rendo conto che .hack possa aver avuto grande influenza sia su parecchie opere successive ma non mi è bastato.

Aragami mi ha sempre attirato nell'ambito dei giochi cooperativi a campagna, volevo vedere come si sarebbe svolto uno stealth giocato in coppia. Devo dire che il gioco è veramente divertente ed appagante, è sì uno stealth ma parecchio arcade, puzzle e molto dinamico.
La vicenda che muove Aragami è "ok", complici la presentazione non particolarmente da fuochi d'artificio (che ci sta: è un indie) ma soprattutto i dialoghi abbastanza stereotipati; un peccato perché, leggendo le pergamene (che fungono da diario ma anche da punti abilità), la lore e il background narrativo sono validi e innalzano molto sia i sentimenti e le motivazioni dei personaggi, in una spirale infinita di vendetta, che alcuni tecnicismi dietro ai poteri e la magia del mondo di gioco.

La direzione artistica invece è impeccabile, sia dal punto di vista grafico che della musica, così come il level design è molto curato, realistico e vario. Aragami si nasconde basso tra le tombe di cimiteri ma anche tra gli alberi di foreste, c'è un intero livello ambientato in un mausoleo con diverse stanze legate a diversi elementi... Veramente ottimo!
A questa varietà si aggiunge la possibilità di affrontare il gioco un po' come pare al giocatore. Si possono affrontare tutti i livelli senza uccisioni, uccidendo tutti o cercando di non farsi scoprire per ottenere diversi risultati ai punti e diversi medaglioni da completismo. Non sono uno che normalmente rigioca ma mi sono divertito molto a tentare di fare alcuni livelli da fantasma senza sangue sulle mani.
Tutto questo è parecchio stimolante anche perché le abilità, pur non essendo tantissime, permettono di fare azioni molto fighe se le si padroneggia, la stessa meccanica principale di saltare da ombra a ombra è una cosa che vedo per la prima volta in uno stealth ed è molto appagante da controllare.
In ultimo, il co-op, quando funziona e si è coordinati, è uno dei più soddisfacenti che abbia mai giocato, quando non funziona può essere parecchio frustrante. In sostanza, se uno dei due giocatori muore tra un checkpoint e l'altro, dovrà fare da spettatore fino al checkpoint successivo che, considerando la presenza delle pergamene da scovare, possono anche richiedere decine di minuti. Mi è capitato di non giocare praticamente livelli interi. Inoltre è abbastanza fastidioso, seppur legittimo, come l'allerta fatta scattare da uno dei giocatori possa influenzare anche l'altro, considerando che, come in tutti gli stealth, i nemici romperanno le loro ronde per cercare ogni angolo del livello.
In generale escludendo alcuni momenti di euforia, giocare in singolo non toglie niente all'esperienza e anzi permette di giocare spesso meglio. Detto questo sono convinto che una coppia ben allenata troverebbe il gioco molto più appagante in coppia, magari per affrontare il livello di difficoltà più alto.

In ogni caso Aragami è un indie veramente molto carino, ho molte speranze per il secondo capitolo che magari con più pulizia tecnica e qualche aggiustamento può essere un gran gioco. Intanto mi fiondo su Nightfall.

Uno dei giochi che finii ai tempi del Nintendo DS con mezzi più o meno legali, sono riuscito a recuperarlo e a rigiocarlo con mezzi leciti trovando una copia fisica.
Onestamente, me lo ricordavo meglio. LifeSigns è un Ace Attorney con operazioni chirurgiche al posto delle sequenze di tribunale. La differenza tra il mio giudizio ora e allora è dato dalla sceneggiatura, che ricordavo di alto livello mentre vedendola oggi non ha molti appigli emotivi o particolari evoluzioni dei personaggi ma presenta semplicemente dei casi clinici a livello di serie TV mediche episodiche. Niente da buttare comunque, i componenti del team medico sono tutti distinti seppur macchiettistici. La localizzazione italiana invece purtroppo va costantemente peggiorando più si prosegue nel gioco.

Ma Lifesigns ha un grande pregio. Sarà scontato ma eseguire le operazioni in prima persona con lo stilo del DS è pura esperienza videoludica, nessun altro medium può trasmettere l'ansia di dover operare a cuore aperto. Un altro pregio è anche la cura portata nel descrivere sintomi e nell'usare vere terminologie mediche: per quanto non possa giudicare sulla correttezza di quello che viene riportato è un bella differenza dagli Ace Attorney, dove il realismo è gentilmente messo da parte.

Se si è abbastanza facilmente immersi LifeSigns è un gioco unico.
Altrimenti, se non hai emozioni, può essere un'esperienza alla stregua di un Cooking Mama.

È facile mettere Outriders nel dimenticatoio dei looter shooter e cancellarlo dalla storia dei videogiochi come uno dei tanti. E infatti succederà. E a ragione. MA:

Ogni tot mi trovo a dover cercare un gioco co-op online a campagna da condividere con un mio amico con cui ci sentiamo praticamente esclusivamente per questo motivo e in questi anni ho giocato un paio di Far Cry, un The Division e ho pure ripreso in mano la mia amata saga di Borderlands. Nessuno di questi sparatutto mi ha preso come Outriders (se la gioca The Strange Brigade, altro gioco dimenticato da Dio).

Outriders mi ha attratto inizialmente per la sua freneticità cazzona (dovuta soprattutto alla cura basata sul proprio danno) ma ci ho trovato molti altri punti a favore:
- Enoch è spettacolare, ogni area è ben distinta dalla precedente ma tutte di alto livello nel colpo d'occhio, mentre giocavo ho scherzato sul fatto che avevo quasi completato una checklist di ogni bioma possibile.
- La trama non è niente di spettacolare ma c'è abbastanza mistero da voler seguire le scene di intermezzo con interesse. Queste sono poi ben recitate e ho amato molto la regia (!) tutta basata sulla "telecamera" a spalla. La sceneggiatura (anche delle secondarie) è pure abbastanza sorprendente, nessuno è al sicuro e le morti non sono spettacolari, sono crude, veloci, reali. Ho dato spesso degli schizzati agli sceneggiatori per come non avessero alcun riguardo delle vite di alcuni personaggi che, nonostante fossero importanti, morivano come stronzi, come dei comuni NPC.
- La parte RPG è abbastanza profonda, le armi sono ben personalizzabili e sono molto soddisfatto della mia vera e propria build del personaggio, che a incastro ha tutte abilità che sfruttano lo status Emorragia, il sanguinamento per capirci. Ho le armi che la causano, alcune skill offensive che ne sfruttano la presenza e delle abilità che ne aumentano il danno e mi fanno curare. C'è parecchia parametria che può risultare pallosa ma che sfruttandola mi ha portato a vedere cambiamenti tangibili nelle battaglie. Il che mi porta a:
- La difficoltà. Intanto il sistema di livello del mondo che bilancia loot alla difficoltà, cambiabile in ogni momento è proprio figo, ma la cosa importante è che Outriders è impegnativo, non impossibile ok, ma almeno ti porta a fare diversi tentativi e a giocare con criterio, sia nell'azione, sia nella parte ruolistica. E dopo, soprattutto ma non unicamente, Borderlands 3, che è disgustamente facile, questo è stato una boccata d'aria fresca. I nemici sono ben distinti (seppur riciclati all'infinito da una fazione all'altra) e vanno affrontati in modo diverso. Gli umani armati necessitano skill diverse per essere affrontati rispetto alla fauna aliena, i boss principali hanno tutti un pattern da studiare e attacchi da capire, così come i miniboss, seppur in minor misura, essendo anche loro abbastanza riciclati.

Detto questo ci sono alcune cose che avrei preferito sistemassero. Per prima cosa non ho mai visto un gioco per console girare così, i menù sono lentissimi nei caricamenti, gli spostamenti anche, spesso alcuni poligoni vengono caricati in ritardo o addirittura mai, come le ruote della camionetta dei protagonisti. Niente che comunque abbia rotto il gioco costantemente nelle 70 ore circa giocate.
E, a proposito, 70 ore sono troppe per uno shooter comunque ripetitivo, e sono davvero troppe le ore passate a guardare il loot, a smontarlo, a cambiare l'equipaggiamento. Mi rendo conto che questo è un looter shooter ma non voglio perdere un quarto d'ora dopo ogni missione per sistemare l'equipaggiamento. Questo onestamente è un problema che ho riscontrato anche con l'ultimo Borderlands (continuo a citarli perché è il più vicino mio metro di paragone).
Per quanto siano giochi diversi, un sistema alla Monster Hunter, dove ogni pezzo di equipaggiamento è sudato dà molta più soddisfazione.
Equipaggiamento che qui poi pecca parecchio in design, anche se capisco che si è voluta intraprendere una strada "realistica". Fa comunque sorridere la personalizzazione estetica dove si sceglie cosa mettere addosso al nostro personaggio, visto che tutto è molto anonimo e c'è un sacco di semplice recoloring.

Detto questo, titolo dimenticabile forse, ma ottimo e divertente per il co-op (e ottima la presenza del cross-play).

This review contains spoilers

A mio parere contano poco, ma ci sono grossi spoiler sia su SotC che su John Wick 4

Pochi giorni dopo aver finito Shadow of the Colossus sono andato al cinema a vedere l'ultimo capitolo di una delle mie saghe preferite, John Wick: Capitolo 4.

Sono John Wick e Shadow of the Colossus stile sopra la sostanza? Sono narrativamente validi o mi faccio accecare da quanto siano dei miracoli nel loro stesso medium dal punto di vista tecnico?
Queste due opere d'arte mi hanno dato da pensare: non so quanto ci vedo io e quanto sia il loro "valore" effettivo, a dir la verità faccio anche fatica ad inquadrare cosa io ci veda in questi titoli.

Shadow of the Colossus è ambientato in un mondo pressoché vuoto, con poca vita che va esplorato solo per andare da una boss fight all'altra, è il bersaglio più semplice per chi odia le mappe aperte senza ragione che sembrano allungare il brodo e basta... Ma, accidenti a me, per pochi giochi ho avuto così tanta meraviglia davanti a un mondo virtuale. Non importa che non ci fosse un obiettivo, viaggiare per questa vallata avrebbe potuto farmi vedere qualche indizio su questo mondo, scoprire qualche segreto o semplicemente darmi uno scorcio di natura incontaminata. Uno dei miei momenti preferiti in SotC è stato entrare nella piccola foresta vicino al tempio centrale completamente per caso, come lo è stato trovare l'oasi nel deserto e vedere Agro abbeverarsi.
Tutto qui? Non lo so. Non credo. Le Terre Proibite sono pregne di dettagli e create con grande cura, il design deve essere intenzionale, no? Shadow of the Colossus non è solo abbattere dei mostri alti come un palazzo di 10 piani ma anche viaggiare da una parte all'altra della mappa sotto l'ordine di (dei?) Dormin accettando tutto quello che ci viene imposto a testa bassa. Ma poi d'altra parte c'era bisogno di vedere tutte le città del mondo per farci morire centinaia di persone sotto i neon? Forse no ma la bellezza è bellezza.

Il viaggio di John e il viaggio di Wander sono oltre l'umano, sono insensati nella loro ostinatezza, dolorosi, massacranti.

"Come ci si oppone al vento? Come si spacca una montagna? Come si seppellisce l'oceano? Come... si sfugge alla luce?"

John Wick e Shadow of the Colossus sono le storie di due uomini silenziosi, due uomini a cui è rimasto solo un loro fido compagno quadrupede e due uomini che hanno affidato la propria vita a degli dei che hanno dato e hanno tolto tutto.
I viaggi di John e di Wander sono destinati alla morte, o prima, o poi, il giocatore e lo spettatore lo capiscono, i protagonisti no. O forse sì, ma sicuramente a loro non importa, come non importanl le conseguenze delle loro azioni sul mondo intorno a loro.

E allora perché farlo? Ma soprattutto perché SotC e John Wick hanno qualcosa in più di ore di Gun-Fu e ore di Puzzle Boss Fights?
Forse la risposta è la stessa. Non c'è logica che spieghi come Wander affronti il suo viaggio, solo la fiamma (o l'incendio in questo caso) della forza di volontà, della vita, dell'egoismo della sopravvivenza, dell'Amore. Avere una sceneggiatura complessa forse sarebbe stato un disservizio ad entrambe le opere. Wander e John si raccontano tramite le loro azioni, i piccoli gesti verso Il Cane e verso Argo e i pochi ricordi che ci è concesso vedere di Heléne e di Mono.

E quanto sono fichi i colossoni?

Hypnagogia: Boundless Dreams è molto molto carino. Fa chiaramente della presentazione estetica, grafica e musicale la sua forza ma nasconde alcune piccole storie (sogni?) non poco emozionanti e pregne di carattere.
Il sogno nella terra innevata dove si scaldano le anime degli abitanti facendo loro delle gentilezze, il sogno della porta-pietra-moglie (pieno di rimandi ad Ocarina Of Time) ma anche il sogno infernale del lavoro dalle 9 alle 17, che fa ridere perché è vero... Tutti i livelli sono praticamente dei quadri digitali di sogni tutti diversi... e di incubi. Anche l'horror low poly è fatto eccezionalmente bene, esplorando diversi generi, quello degli spazi liminali, l'horror classico nella casa stregata ecc.

Purtroppo Hypnagogia è quasi un non-gioco e sicuramente punta allo stile sopra la sostanza e i primi livelli possono far passare la voglia di completarlo. Tuttavia è consigliatissimo, perché lo stile è di altissimo livello.

Pescato questo sJRPG a 3€ per finire il credito del 3DS prima della chiusura dello store. Il titolo è mediocre, ma nel senso che è medio, il sistema è classico ma funziona, ogni personaggio si comporta in modo diverso e mi è piaciuto molto come si possano evolvere le classi base in diversi classi più specifiche: voglio che il mio healer diventi solo un healer più potente o voglio che diventi una figura ibrida? Voglio che il mio barbaro sia un pratico fornitore di danni o voglio che sia più tecnico? Oltre a questo sono presenti una buona varietà di armi ed equipaggiamento che sono esse stesse modificabili nelle statistiche, insieme ad armi leggendarie con caratteristiche particolari. Grazie alla personalizzazione la mia Celeste (il ladro del gruppo) è diventata una speedrunner della mappa immortale in quanto evitava ogni attacco, e devo dire che è stato soddisfacente.
Mi dispiace molto che la meccanica del fabbro, che permette la personalizzazione delle armi, sia particolarmente inaccessibile per come è stata strutturata e l'ho sfruttata solamente un paio di volte.

La trama ha un incipit abbastanza particolare in quanto impersoniamo dei mercenari in una guerra dove non siamo esattamente dal lato buono della storia ma dove i nemici (ribelli indipendentisti) non si fanno particolari scrupoli. La trama quindi si dipana nel mezzo di questa guerra con qualche intrigo politico e ovviamente un segreto più oscuro e potente dei normali esseri umani a fare da boss finale. Niente di pessimo ma, di fatto, niente di memorabile, un po' come il party che ha qualche banter divertente e del character design abbastanza decente da poter distinguerli ma non presentano alcuna evoluzione o profondità. Da segnalare che ho riso per l'effetto di porta-sfiga di Arabelle e che mi ha gasato molto Celeste con la sua one-liner:

"May the gods we don't believe in bless the death of these losers"

che citerò per sempre.

Il difetto più grosso di Mercenaries Saga 3 è la quantità di battaglie, troppe e con contesti troppo anonimi, con una grande quantità di battaglie che avvengono semplicemente a metà di uno spostamento dal luogo interessante per la trama X e l'altro Y, e spesso questi spostamenti implicano più di uno scontro. Un altro problema è come la maggior parte delle battaglie siano simili tra loro con poca varietà di ambientazione e in alcuni casi anche di nemici. Arrivare alla fine quindi diventa poco stimolante, soprattutto considerando che non ero così interessato nel conoscere il finale.

Detto questo, il rapporto qualità-prezzo è ottimo e il gameplay abbastanza solido, ho visto che i nuovi capitoli hanno ricevuto un buon restyling e non escludo a priori di non acquistarne altri, in circostanze simili a quelle che mi hanno portato a comprare questo.

Sono certo che Into the Breach sia un ottimo gioco tattico e che io abbia solamente scalfito la profondità del titolo dove letteralmente ogni turno conta e le possibilità sono molteplici MA non reggo proprio la struttura rogue-like e sicuramente da parte mia avrei preferito una trama lineare.

Ho evitato Investigations 2 per molto nella speranza che arrivasse, prima o dopo, la localizzazione ufficiale in occidente. Tuttavia Capcom odia Ace Attorney e quindi mi sono attrezzato in diverso modo.

Il primo Investigations è, a mio parere, il capitolo più debole della saga, con casi veramente poco memorabili e il peggior ultimo caso della saga. Certo andando a rivedere alcune cose che avevo scritto ai tempi offriva un buon sviluppo del personaggio di Miles tanto da consolidare il mio pensiero che egli sia il mio personaggio preferito e forse in generale il migliore della serie, ma in Investigations 2 si arriva ad un nuovo livello.
La grande forza di Investigations 2, pur con più che buona competizione nella saga, sono i personaggi e come questi sono legati dalla scrittura tematica intorno al concetto di identità. La propria identità professionale contro quella di genitore per esempio, l'identità che ci è assegnata dagli stessi genitori e il conflitto con queste aspettative.
Come ho accennato la cosa che mi è piaciuta di più è come queste tematiche vengano esplorate da diversi personaggi e dalle interazioni tra loro, non solo con Miles quindi ma con la inscalfibile Courtney, il ponte tra Gregory e Miles, Ray e da alcuni personaggi di ritorno nella saga. In particolare voglio portare d'esempio probabilmente una delle mie 5 scene preferite della saga: c'è un punto dove la nuova meccanica dello "scacchi logico" viene utilizzata per fare una sorta di dibattito/seduta psicologica tra Miles e un altro particolare personaggio dove Miles trova finalmente sé stesso nel cercare di far trovare l'altro. Anche Franziska stessa chiude il suo arco narrativo e CON UN'UNICA LINEA DI DIALOGO.

La forza di AAI2 è principalmente questa mentre, per quanto riguarda l'intrigo investigativo AAI2 è l'unico capitolo (di quelli che ho giocato) che incorpora tutti i casi in un unico arco unico, tornando anche nel passato e interpretando, come molti sanno, Gregory Edgeworth in un caso che nella community ha grande hype ma che per me rientra solo nello standard, anzi Gregory poteva essere decisamente esplorato di più come personaggio. La narrativa unificata fa sicuramente piacere ma questo non risulta automaticamente a presentare casi di qualità esagerata, che sono tutti comunque almeno buoni. Il mio caso preferito rimane il quarto che ha però come difetto di avere il proprio finale nel quinto. In quest'ultimo arriva il grande climax narrativo per quanto riguarda l'evoluzione dei personaggi e dei suoi temi ma che trova nella soluzione del giallo finale solamente uno scrollamento di spalle da parte mia. Il colpevole finale funziona tematicamente ma molto meno come risoluzione del mistero.

Infine, purtroppo, rimango dell'idea che l'esperimento degli Investigations non mi sia piaciuto molto a livello di gameplay, o meglio, la formula degli Ace Attorney rimane troppo vincente per potersi confrontare. Ho apprezzato, tuttavia il già citato "scacchi logico" e l'altro incredibile superpotere di Miles: la "logica".

Comunque, considerando il voto, si può capire quanto i personaggi, anche quelli non citati, portino bene sulle spalle il resto del gioco, che rimane imprescindibile per un fan degli Ace Attorney.

Era molto tempo che volevo provare un capitolo di questa saga, curioso di sapere come si sarebbe presentato un JRPG famoso per avere toni molto tranquilli e basato sul crafting.

Atelier Lulua ha effettivamente incontrato le mie aspettative; Atelier Lulua è la storia di un'adolescente che muove i suoi primi passi nel mondo adulto dovendo sottostare alle attese che non tanto il mondo quanto sé stessa si autoimpone, essendo figlia della più famosa alchimista di Arland. Ad accompagnarla c'è un interessante cast di personaggi, alcuni nuovi, alcuni, mi pare di capire, di ritorno dai precedenti capitoli, ma tutti ben caratterizzati (stare alla larga se non si apprezza la scrittura marcatemente "anime") con banter divertenti e trame secondarie dedicate più o meno ben scritte. Per la cronaca Eva, la miglior amica di infanzia (e futura moglie probabilmente) di Lulua è il personaggio che ho preferito.
Lulua è decisamente fortunata in quanto tutti i personaggi del party hanno, a differenza sua, ben chiaro chi sono e cosa vogliono fare nella loro vita, sebbene non siano privi di dubbi e difficoltà che la stessa Lulua aiuterà a superare. Lulua infatti per tutta la durata del gioco è una spugna che fa suoi gli insegnamenti arrivati dai suoi amici e dalle diverse mentori che, una dopo l'altra, incontra nella parte centrale della trama.
Quando Atelier Lulua narra sotto la forma del romanzo di formazione nel quale la protagonista impara qualcosa risolvendo problemi da "ordine del giorno" per un'alchimista è dove il gioco brilla di più, secondo me. Chiaramente verso le battute finali del gioco, come in ogni JRPG la scala degli eventi e dei problemi diventa maggiore (anche se per fortuna non si arriva al "kill god") e abbastanza cliché.
Atelier, per mio gusto (me ne rendo conto), non eccelle solo perché deve mantenere il tono sempre spensierato ed ottimista. So che questa è la sua forza (e in parte concordo) ma d'altra parte mi ha scottato, perché ci sono temi che potevano essere approfonditi, soprattutto riguardanti la "prima famiglia" di Lulua ed Eva o il rapporto tra Lulua e Rorona, che ha delle sue criticità (poi Piana ha dei chiari problemi con l'alcool?? ahah?????). Ma soprattutto non mi è piaciuta una scelta che si fa verso il finale della vicenda dove il bivio presentato è:
A. Fai una scelta difficile e un sacrificio di cui ti prenderai le responsabilità
B. Non sacrificare nulla ma cerca un'altra soluzione e impegnati di più
Dove scegliere A porterà ad un bad ending e a dover scegliere B per non perdersi tutta una buona fetta di gioco. A mio parere se Lulua vuole essere un romanzo di formazione allora la responsabilità deve essere una qualità da imparare.

Atelier Lulua mi ha occupato più di 120 ore, e il suo miglior pregio è non aver sentito la minima fatica neanche dopo le prime 100. Penso di aver passato almeno un decimo del gioco davanti al calderone per ottimizzare le mie creazioni che sono infinite e di infinite varianti. Il sistema di crafting ha veramente molte sfaccettature, ottenere un nuovo oggetto o un nuovo pezzo di equipaggiamento dà molta più soddisfazione che in un JRPG qualunque e fa la differenza tra il perdere e il vincere in combattimento potendolo modificare a seconda delle proprie preferenze. Il combattimento è di stampo abbastanza classico e la componente strategica più importante è la gestione delle risorse (sia oggetti che i salta-turno delle alchimiste) e l'incastro di varie combo, oltre all'organizzazione del party dove ogni personaggio è ben diverso dall'altro. In generale, premettendo che l'ho giocato a livello difficile (standard veramente troppo facile), richiede la giusta dose di impegno soprattutto per evitare lo stun del party che porta facilmente al TPK anche contro normali mob.
Molto interessante l'idea dell'Alchemyriddle, risolvere "enigmi" per avere nuove ricette è un'attività secondaria molto stimolante e appagante. Avrei voluto esplorare anche le pagine nere ma dopo così tante ore ho preferito chiudere la mia esperienza.
Piccolissimo plauso finale per aver incluso interviste ai doppiatori e l'intera colonna sonora ascoltabile con il commento scritto dei compositori per ogni traccia del gioco!

In sostanza: ho già Atelier Rorona comprato da giocare perché voglio vedere di più. A proposito, questo è un capitolo 4 ma penso funzioni più che bene come primo capitolo, anzi ha stimolato la mia curiosità nel giocare il primo.